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martedì 25 settembre 2012

Fiesole, Ventisette Settembre Duemiladodici - Antefatto

(Avviso ai naviganti: questo post è molto lungo. Quindi se siete tra gli amanti del riassunto, mettetevi il cuore in pace. Dovevo scriverlo esattamente così, perché sono troppo felice! E poi è da dodici giorni che non posto nulla, giusto per creare un po’ di attesa; fate finta che sia una specie di promozione “Paghi due/ Prendi tre” per la Tabella delle Righe. Ma tutta gratis)

Che scrivere sia cosa che mi piace da morire, credo sia ormai ovvio anche a chi passa di qua perchè ha sbagliato strada. Ma da qui a dire che io sia anche bella da leggere il passo non è immediato, e difatti io ho sempre cercato di essere onesta con me stessa, molto pratica e realista, onde evitare di farmi venire strani grilli, perchè una cosa è un passatempo che ti riesce e ti fa portare a casa da scuola buoni voti, ed altra cosa è pensare anche solo per un secondo che possa diventare qualcosa di più.
Tra l'altro, uno dei miei primi scritti "pubblicati" (dopo un tema sulla Resistenza alle scuole medie per un Concorso locale fra ragazzini, che mi aveva fruttato una foto sul Gazzettino ed un premio in denaro elargito generosamente dal Comitato di Quartiere - cifra simbolica che io ho considerato per anni come un forziere a cui attingere, visto che la paghetta alle medie non era prevista) era stato un brano sul giornalino parrocchiale, che ancora ricordo con terrore.
Era un resoconto di un viaggio che avevo fatto con la mia migliore amica a Medjugorje - sì, esattamente dove appare la Madonna, e tra l'altro all'epoca (parliamo del 1987, quindi ben prima che nascessero certe giovincelle di spettacolo che adesso ci vanno in pellegrinaggio ad esibire il pancione perché fa tanto chic: io ci sono andata perché credo) in Erzegovina non avevano ancora capito come trasformare la cosa in business, come è successo in seguito, e quindi il tutto era abbastanza osteggiato dal regime; chi riusciva ad andarci dormiva nelle case della gente, quando non nei fienili, e poi andava a trovare i ragazzi veggenti come amiconi sotto casa. Mi ricordo perfettamente - anche perchè credo di avere ancora la bozza da qualche parte, scritta a macchina, magari come mio solito nel cassetto dell'intimo - che iniziava così: "Certo che se qualche mese fa mi avessero detto che sarei riuscita a eccetera eccetera, non ci avrei creduto". Premetto che nel 1987 i computers non erano ancora così diffusi, soprattutto nelle Parrocchie, e la nostra era già fortunata a possedere un ciclostile; il pretino giovane e tuttofare ricopiava, impaginava, e stampava, ed evidentemente lo faceva dormendo, perchè il sabato sera in cui venne pubblicato il mio scritto ricordo bene i mormorii e le occhiatacce che mi accompagnarono nel piazzale della chiesa, e le risatine dei miei coetanei, finchè una delle ragazze più grandi e scafate trovò il coraggio di dirmi "E sì che fai anche Lettere, io mi vergognerei". L'articolo iniziava con "Certo che se qualche mese fa mi AVREBBERO detto che". Non mi sono fatta vedere per un mese dalla vergogna, tutto per colpa di un condizionale di troppo, che tra l'altro io padroneggiavo nè più nè meno di adesso. Un errore da monaco copista distratto, come nei codici miniati del Medioevo, una botta di sonno del proto e sono bollata a vita!
Perchè vi tedio con questo prologo: perchè è arrivato il momento di raccontare il retroscena del famoso post "Dita incrociate", come promesso. Io al posto vostro sarei un po' curiosa, anzi, "fossi" un po' curiosa.
Ho raccontato più volte - fino a nauseare qualcuno di voi, che carinamente me l’ha fatto notare (prendo atto ma non smetto!) - quanto mi piaccia come persona Giovanni Faccenda, con il quale sono evidentemente sulla stessa lunghezza d'onda in molte cose. Il Professore ha iniziato a leggere Trecose con regolarità e mia somma gioia, e schifo non deve fargli visto che mi segue ancora. Qualche mese fa (anzi, sarò precisa, l'addì ventisette del mese di Maggio) mi trovavo - casualmente! - negli studi Orler durante la diretta dello Speciale su Marcello Scuffi, con i quadri rientrati dal Chiostro del Bramante, ed era appena stata data la notizia delle prossime esposizioni (Fiesole, Palermo, in lavorazione Londra). Io e Faccenda ce ne stavamo lì, durante una delle sue pause, a parlare di quadri e di quale vita precedente ci aveva visto gemelli - su questo punto siamo ancora in discussione - quando lui mi esce con questa frase: "Senti, perchè non scrivi tu un saggio da mettere nel catalogo di Fiesole?". Cioè, non so se mi sono spiegata bene:
   a) Giovanni Faccenda (lo storico dell'arte, il critico, quello di Firenze, il Professor Occhiblù Faccenda, proprio lui)
   b) che chiede a me, emerita sconosciuta assicuratrice incontrata solo due volte (in questa vita qua)
   c) di scrivere un saggio
   d) su Marcello Scuffi
   e) da pubblicare in Editoriale Giorgio Mondadori!
Istintivamente l'avrei baciato, ma siamo sempre lì: i toscani sono gente che scherza spesso, e io non colgo bene tutte le sfumature, non potevo rischiare di emozionarmi più di tanto senza essere sicura. E poi aveva ancora il microfono attaccato alla giacca, mi andava in diretta l'abbraccio.
Dei minuti immediatamente successivi ho ricordi nebulosi, so solo di aver provato tra testa e stomaco una sensazione simile a quella che si prova sulle montagne russe, ma con l'aggiunta di un mare di Nutella a mia disposizione, tanto per stimolare le endorfine. Devo aver biascicato qualcosa tipo "Sarebbe un onore", cioè la classica risposta idiota alla "Ho portato un cocomero" in Dirty Dancing (tutti coloro che hanno la mia età, per lo meno tutte le ragazze, hanno visto Dirty Dancing almeno ventotto volte, e ancora adesso quando passa in televisione lo rivedono, magari commentando quanto scemi eravamo, quanto insulsa e finta è la storia, che pena di sceneggiatura, che cani gli attori - a parte Jerry Orbach, che aveva già la smorfia alla Law and Order, però tutto fino alla fine te lo sorbisci, sempre, e dici "che boiata sovrumana" andando a letto, ma sorridi).
Ovviamente mi sono colate le lacrime, ed ho sulle prime cercato conforto nell'abbraccio di mio marito, anche se in realtà non mi ha badato più di tanto perchè stava facendo il suggeritore a Carletto Vanoni, che non trovava le pagine corrispondenti alle opere nella pubblicazione e stava andando fuori di testa.
Sulle seconde mi sono voltata di un quarto di giro, e c'era un silente Marcello granitico, con una faccia che era tutta un programma, mentre Giovanni gasatissimo continuava a ripetergli "Ma sì, che bella idea, lo facciamo scrivere a lei!". Marcello Scuffi è uomo di poche parole, e difatti non ha detto niente, ma gli tirava di certe occhiatacce parlanti (thetthu se' bischero, thetthu se' grullo), che io traducevo in "ecco fatto, il Professore è impazzito, mi manda all'aria il lavoro di mesi, cosa gli sarà saltato in mente, solo perchè la signora qua se lo sta mangiando con quegli occhioni verdi". O qualcosa del genere.
Comprensibile, visto che Trecose è Unacosa abbastanza segreta, e Scuffi non è tenuto a sapere che so coniugare i verbi. Sapeva che rappresentavo la metà di una coppia di suoi estimatori accaniti, e tanto gli bastava; infatti io tutta elettrizzata da questa novità - già che c'ero - ho subito confermato quella straordinaria Marina di Darsena, il monocromo di grafite che ho descritto in "Fermo immagine".
C'è stato anche un bel siparietto, perchè Carlo voleva che Giovanni Faccenda la descrivesse ben bene (solo lei, appesa nitida e perfetta, in tutta la parete), lui si è microfonato, si è avvicinato, ha alzato la manina e Giuseppe ha detto via-via-confermato-mica stiamo qua a girarci i pollici, mentre io saltellavo giocosa per lo studio. Grande Giuseppe, con Carlo stralunato che voleva capire il segreto del Professor Faccenda, visto che fa vendere i quadri di Scuffi solo facendo presenza. Te lo spiego io Carletto, il segreto, si chiama "siamo tutti innamorati pazzi (di Marcello)". Primo.
E secondo (perdonatemi se divago per un attimo per un discorsetto più generalizzato, ma è una cosa che mi sta un po’ qui e devo far uscire il rospo), guardiamoci bene tutti negli occhi: Faccenda è Faccenda. Lui non vende arte: lui E’ L’ARTE. Ci sono centinaia di venditori (d’arte ed altro, ed a volte convinti che la categoria merceologica sia intercambiabile, mentre con l’arte non si scherza: non puoi vendere un dipinto come vendi un frigorifero o un’automobile) in giro per la televisione e per l’Italia, alcuni che non prenderei in Agenzia neanche per pulire i bagni - bagni che varranno per certo milioni e milioni di Euro, modello Duchamp - altri invece davvero bravi e preparati. Poi ci sono gli studiosi, gli esegeti, c’è Giovanni Faccenda, che è uno dei pochissimi – in Italia – ad essere contemporaneamente sia storico dell’arte che critico dell’arte (secondo la differenza che ci racconta Paolo Levi nel suo delizioso e direi anche commovente Editoriale su Effetto Arte, in edicola proprio in questi giorni) .
Parliamo di un altro pianeta, non c’è nessun segreto da capire, il pubblico lo sente subito se uno è lì perché deve vendere o se è lì perché vive d’arte, respira d’arte: mica siamo tutti deficienti noi dall’altra parte del video. Anzi, io ne approfitterei un pochino di più: è come quando, nel mio lavoro, devo andare a fare una trattativa particolare (che ne so, una Polizza Incendio Rischi Industriali o un grosso TFR), e mi porto dietro il Tecnico, dipendente della Compagnia, l’esperto. Il contatto commerciale è mio, io sono quella che vende e sorride anche, ma lui è quello che scrive le clausole astruse, così il Cliente ascoltando lui si sente trattato con un occhio di riguardo in più. Sarei pazza a mettermi in competizione col Tecnico, siamo lì esattamente per lo stesso motivo: chiudere il contratto. Perché ognuno ha un suo ruolo ben definito, e mettersi a fare paragoni, o addirittura temerli, a volte è solo segno di mancanza di autostima. Altro esempio, più terra-terra: io ho una sorella maggiore completamente diversa da me: bionda, alta, che camminava sul tacco dodici già a quindici anni come in passerella (ha tuttora un portamento da diva), ma timida, la potevi ferire anche con un monosillabo. Io, bionda neanche sotto tortura, ero più paffutella, con i tacchi sono imbranata ancora adesso, figuriamoci, ma mi mangiavo vivo chiunque, soprattutto nei giorni in cui ero davvero lanciata come un missile. Sarebbe stato stupido vivere da antagoniste, nessuna di noi sarà mai come l’altra: bisogna saper sfruttare le proprie peculiari caratteristiche, quelle che l’altra non ha, ed evitare di darsi battaglia (per far colpo sui ragazzi, ad esempio, negli anni che furono, ma più in generale nella vita) atteggiandosi a brutta copia. Che poi è anche una logica imprenditoriale, infatti le mie tre impiegate – già l’ho detto – sono una diversa dall’altra, e sanno sfruttare questa loro diversità senza sentirsi in difficoltà se un Cliente preferisce la collega: lo scopo è che l’Agenzia funzioni, senza voler fare le Prime Attrici, visto che se l’Agenzia va bene a fine mese ci mangiamo in sei, se va male siamo tutti a spasso. Spirito di squadra.
Ma torniamo a Marcello, che è meglio. 
Dopo pranzo Scuffi mi si avvicina ancora un pochino torvo dicendomi "Seeeenti, quella hhosa scrittha, ce la fhai a fharla per la prossima setthimana perchè i thempi sarebbero sthretthini": caro Marcello, dolce, vero, meraviglioso Maestro Marcello, tutta già in mente ce l'avevo, "quella hhosa scrittha", tutta per te! Gliel'ho girata via mail a Giovanni che erano ancora in macchina sugli Appennini.
Poi di mezzo c'è stata la nostra visitina a Quarrata, chi doveva leggere ed approvare l'ha fatto, e gli animi si sono un po' rasserenati. Restava solo a me da cucirmi la bocca perchè avrei voluto fermare le persone per la strada, ed ho fatto davvero una fatica boia a tenermi ed a comunicarlo solo a quelle tre-quattro persone tipo genitori e affini, tanto con i miei genitori vado sul sicuro, non si scompongono mai, non c'è pericolo che ti diano mezza soddisfazione, come quando ero a scuola e portavo a casa tutti nove, e mi sentivo rispondere: "Cosa c'è scritto sulla tua Carta di Identità? Studente! E allora hai fatto solo bene il tuo dovere". In pratica come vivere in una caserma, alla faccia dei colleghi di mio papà che avevano tutti figli completamente idioti e dovevano pagare per far prender loro uno straccio di diploma, ma se ne vantavano manco avessero generato novelli Einstein solo perchè li eleggevano Miglior Bagnino dell'Anno (però al Des Bains del Lido, che fa tanto aristocratico).
"Sai mamma, ho comprato un appartamento in Friuli, fra un mese vado via di casa" Ah, sì?
"Sai papà, mi metto per conto mio, apro la Partita IVA e mi prendo l'Agenzia" Ah, sì?
"Avete presente, mamma e papà, l'idraulico piccolino e pelato? Ci siamo sposati la settimana scorsa" Ah, sì?
Un po' romanzato, ma non tanto distante dalla realtà (diciamo che con me non si annoiavano, i miei). Torniamo a noi.
L'esperienza per me davvero nuova e divertente, oltre alla genesi della parte scritta, è stata quella legata alla impaginazione. Perchè ovviamente quando io scrivo, e scrivo di Scuffi, ci vedo le mie emozioni a fiumi, ci vedo condivisione, ci vedo empatia, cuore, anima... mentre un redattore che maneggia migliaia di saggi all'anno ci vede - comprensibilmente - una fila di parole su un foglio. Fossero ricette di cucina sarebbe uguale: scrivere di Scuffi q.b.
Cominciano a girare le mail con la bozza e le richieste "tecniche" di chi tiene le fila della parte grafica, della serie: o la Professoressa Acidini allunga il suo saggio, o io accorcio il mio... Ammetto che non sarebbe stato un gran bello apostrofare la Somma Acidini "Ehi, Profe, aggiungi qualche altra riga, dai coraggio, giusto fino a metà pagina, non è uno spreco per favore", e del resto è solo colpa mia se ho sforato le ottomila battute quando Giovanni mi aveva avvisato che la lunghezza ottimale era di quattro. Ma sentirsi dire "taglia tot righe" è come se ti chiedessero di tagliarti una mano! Col cavolo che taglio qualche riga, qualche riga del mio cuore per Scuffi, piuttosto mi metto col cesello a tirar via un avverbio qui, un aggettivo lì, un nome là, fin quando il Word non mi avvisa che siamo arrivati. Ho anche accontentato Scuffi in persona, visto che nella stesura iniziale facevo dei diretti riferimenti al suo essere "metafisico", cosa che a lui non era piaciuta per niente: "Io non sono metafisico, sono realista!" mi aveva tuonato in uno sbuffo di sigaro e consonanti mentre ci confessavamo a lui nel suo studio-chiesetta. Via metafisico allora, ma non insisterei tanto sul tuo realismo, caro Marcello, mica sono così le barche vere, mica esistono queste piazze d'acqua così incontaminate, con le logge ora aperte ora chiuse a farti l'occhiolino. Se un giorno dovrò chiamarti realista, allora passami per lo meno un "realista magico", di quelli teorizzati in letteratura, tanto è la sospensione eterna, incantata, infinita, dei tuoi seppur reali soggetti.
Fatte le debite pulizie, ho fatto anche un errore madornale: poichè la redazione mi aveva avvisato che il saggio sarebbe stato "tagliato sull'impaginato" (in pratica sovrapposto a quello di prima perchè saltasse all'occhio la parte omessa, ma io continuavo a vederci fette di cuore sanguinolento, come sul banco di una macelleria), li ho ragguagliati sul lavoretto di cesello (quindi niente sangue, casomai una piccola spremuta di lacrime) ed ho confidato loro che per me era la prima volta. Dando per scontato che la storia del congiuntivo di Medjugorje e il tema sulla Resistenza per loro non contassero.
Mi immagino una reazione alla Marcello Scuffi, solo nel dialetto della redazione invece che in thetthù se' grullo: la povera ultima arrivata che probabilmente di mestiere sposta le casse al porto (con tutto il rispetto per i portuali), meglio che diamo un'occhiata a cominciare dalla punteggiatura. Mi arriva una mail gentile gentile con cui mi si dice che c'è un'espressione troppo colloquiale: vero. Infatti il taglio (ancora questa parola!) del mio saggio è VOLUTAMENTE così, tutto di basso profilo. Mica faccio il critico di mestiere, io, vuoi vedere che adesso devo fare copia-incolla con la roba scritta da Giovanni Faccenda dal 2007 in poi! L'idea era proprio di far arrivare alla fine, dopo i Grandi Nomi, qualcosa di "diverso"... La frase incriminata conteneva una voce verbale di "tirarsela", ovviamente con il ben noto significato di "atteggiarsi a superiorità e condiscendenza", e mi sono tolta lo sfizio di controllare su vari forum di patiti della Crusca (maiuscolo, eh, non il cereale), nei quali viene definita "non raffinata, ma efficace nel parlato", corredata da esempi nientepopodimeno che da Machiavelli e Guicciardini! Entrambi fiorentini, sottolineo. Ma per amor di pace ho organizzato velocemente un brain-storming in ufficio (si era sotto chiusura e la contabilità chiamava): "Ragazze, velocemente, preventivo Infortuni per la Ditta Tale, sentire Ispettorato Sinistri per far pagare quel danno di Tizio che è ora, e scegliere qualcosa che vada bene al posto di tirarsela in questa lista che ho buttato giù", con la Bionda che storceva il suo bel nasino (rispetto al mio, che è di sedici centimetri) fin quando è arrivata l'espressione azzeccata e meno colorita che ha messo tutti d'accordo. Anche un po' di Bionda nel mio amore per Scuffi.
Peccato però che solo dopo qualche giorno mi sono accorta che era stata cambiata anche un'altra cosa (una delle mie tipiche espressioni parlate con fine rafforzativo, in cui metto sia il sostantivo che il pronome), e senza dirmi niente, bricconcelli. E mi avevano cancellato anche TUTTE le "d" eufoniche, che io invece USO come si vede bene dai miei post. Non me ne frega niente del fatto che siano desuete: a me "e anche", "e infatti", "e ho" non piace! Anche qui il web mi ha consolato, perchè vi si legge che in effetti "secondo le norme generalmente stabilite dalle redazioni dei giornali e delle case editrici" la d eufonica ormai si mantiene solo tra vocale uguale, ma "resta il fatto che  se a qualcuno la d eufonica piacesse a tal punto da usarla anche tra vocali diverse, nessuno potrà impedirglielo accusandolo di violentare la lingua; anzi, questa potrà tutt'al più essere considerata una ricercatezza" (fonte: dizionario.corriere.it). Ecco qui quel qualcuno! E quando mi leggerete nel catalogo di Fiesole, ricordatevi che io le d eufoniche le avevo messe. Tutte.
Perchè ovviamente voi tutti mi leggerete nel catalogo di Fiesole, spero, anche se molte delle cose che ci ho scritto sono già state parte integrante di vari miei post, perchè mica ci si inventa niente (quello che penso di Marcello Scuffi non è un segreto). Basta comprarlo, magari vi viene voglia di prendervi anche un olio, o un acquerello, però aspettate lo Speciale da Orler dopo fine Ottobre così Giovanni Faccenda ve lo illustra come si deve.
A parte Michele "Schifano", perchè a lui l'ho promesso e se mi scrive il suo indirizzo - che mica renderò pubblico - giuro che una copia gliela mando. A proposito, ci sarà anche il mio nome, quello vero, sulla pubblicazione... dopo Acidini, Faccenda, Gradi ci sarà anche Paola B. Ma nel frattempo io sarò già svenuta.

P.S. Oggi Marcello Scuffi compie gli anni: auguri Maestro! Da parte mia e  di tutti coloro che ancora riescono ad emozionarsi davanti ad un quadro, tuo.

giovedì 13 settembre 2012

Bramante colpisce ancora - Seconda parte

Che mostra coi fiocchi, ragazzi! Bella bella bella. Grande, poi! Su due piani, con tantissime opere esposte: oli, tempere, acquerelli a perdita d'occhio. A me Vincenzo Balsamo piace tanto, e come mia prassi non starò qui a sostituirmi ai critici di mestiere facendo chissà quale esegesi: tra l'altro basta andare sul suo Sito Internet che è pure bilingue, e guardare cos'ha fatto e cosa fa, usando il menu sulla sinistra, che ha tutti i suoi periodi artistici già pronti e divisi per tipologia. Ci sono anche molti articoli degli studiosi che negli anni hanno scritto di lui, neanche mi passa per la testa di mettermici in competizione, io sono e resto una che vende assicurazioni.
Però, che ben messo questo sito: Vincenzo Balsamo ha iniziato una vita fa (mica è un bimbetto, il Maestro) dipingendo - come molti - paesaggi, nature morte, qualche ritratto. Indagando si scorre giù la sua storia vedendo come quei visi, quei campi arati, quella frutta buttata lì, cominciano a scomporsi, a slegarsi, a mischiarsi, a riempirsi via via di linee di ogni genere, a "decomporsi" (rigorosamente virgolettato perchè è definizione non mia), a diventare nebbia, a diventare sciame fitto, a diventare stormo in volo, a diventare mare di punti, a diventare solo astrazione, incontaminata. Un pochino alla volta, prima un'astrazione con grandi zone di colore intenso e differente, spesso caldo/freddo insieme nella stessa tela, come qualcosa che sta arrivando ma non è ancora pronta, e infine - e finalmente, per quanto mi riguarda, perchè adoro il suo ultimo periodo - "astrazione lirica" (pure questa non è mia, anche se mi sarebbe piaciuto).
Inizia come molti, finisce come lui solo. Un lunghissimo binario di ricerca, di sperimentazione, di corsi e ricorsi, come un alchimista che raffina essenze su essenze per portarti alla fine QUELLA goccia di profumo, unica, pura, introvabile.
Io voglio guardarli a modo mio, i suoi quadri, me li faccio cadere nell'anima passando per gli occhi: mia l'anima, miei gli occhi, miei i ricordi di quando - bambina - mi avevano regalato un caleidoscopio, e ci perdevo ore. Evidentemente noi eravamo menti semplici, e ci divertivamo con poco rispetto ai bambini di oggi, che hanno tanto, tutto, ma secondo me si stufano troppo presto. Forse era stato al ritorno da uno dei miei vari soggiorni in ospedale (da piccola sono stata un disastro in quanto a salute, li ho girati tutti), erano le volte in cui mi arrivavano le cose più strane; quel cilindretto lungo, magico, chiuso ermeticamente, con dentro il gioco degli specchi e pieno di pezzetti di sostanze sconosciute, tutti colorati, piccoli piccoli: tu bambino ci guardi da un lato e lo fai girare, piano piano, controluce, e lui ti rimanda mille combinazioni, mai uguali, a volte soffuse, a volte luccicanti, a volte morbide, a volte aguzze, e ti fa sognare di immergerti in un mare multicolore. Col cavolo che sono "una da Cascella" (ribadisco! Solo perchè non riesco a considerare "arte" una bestia morta!), mi piace da morire l'astrazione, però deve essere fatta bene. Troppo comodo per i nuovi ragazzi subito geni-della-pittura buttare là due palate di schifezze su una tela e dire: è astratto. Arrivaci con un percorso attraverso mezzo secolo e poi ne riparliamo.
Balsamo è un mago dell'astrazione, è un illusionista, è un incantatore: intanto racconta qualcosa, perchè insieme al colore c'è il Segno. E' PIENO di segni, una scrittura misteriosa, come una formula rituale graffiata con caratteri sconosciuti ai più (spegni il frastuono, esci da Facebook, fermati davanti ad uno di questi quadri per più di cinque minuti - ma conta davvero, fino a trecento, respirando a fondo e senza barare! - e poi incominci a "leggere", a capire e ricordare la vita primordiale). Non grossi, spalmati, sezionati come fa Licata (un altro che mi fa piangere per la bellezza); quelli di Balsamo sono quasi invisibili, ti devi mettere lì d'impegno, e meritarteli. E poi sopra, sotto, intorno ai segni c'è il COLORE. Un colore che non è piazza d'armi, che non spara, che non fa a botte: è pioggia di colore, è lacrima di colore, è un delicatissimo caleidoscopio, è pura febbre. Perchè i suoi laghi, le sue tracce di colore, che tanto mi ricordano i quadri puntinisti, ora sono freddi: verdi, blu, violetti, metti il naso fuori e senti che l'aria punge. Poi la colonnina di mercurio sale, sale, sale, e la fronte scotta, e li vedi caldi: rossi, arancioni, gialli come un lampo. Oppure freddi e caldi insieme, ma di rado, e mai di colpo, sempre gradatamente, come una sinfonia. Termometri di bellezza (cosa significa, in fondo, "caleidoscopio"?). Molto, molto Paul Klee, rivisto attraverso altri occhi.
A parte gli oli, che già avevo visto dal vivo - potentissimi! -  in altre occasioni, mi hanno colpito profondamente gli acquerelli, che vedevo per la prima volta, perchè io sono abituata a quelli di Scuffi, limpidissimi, trasparenti, appena accennati. Invece gli acquerelli di Balsamo sono carichi, densi, forti anche loro come i cugini ad olio. 
Non capisco perchè ci metta i titoli, che in realtà non mi dicono granchè: basterebbe forse solo un numero, perchè anche i numeri hanno una loro potenza, una loro vita, un loro mistero. Numeri dispari, le Sintesi fredde. Numeri pari, le Sintesi calde. Numeri primi, unici, indivisibili e solitari: le Sintesi più complesse, miste, con quelle pennellate bianche ogni tanto (il bianco, il colore che è tutti i colori insieme, quando l'occhio non ce la fa più e vede solo luce!), come quella tavola ovale stratosferica davanti alla quale Giovanni Faccenda mi ha cacciato un microfono sotto la faccia. Questa va spiegata bene, tiriamo giù le vele del lirismo e rimettiamoci con i piedi per terra a fare una passeggiatina.
Intanto una cosa che mi ha colpito: era un Evento sponsorizzato Orler, però senza gli Orler. Nessuno dei fratelli è potuto intervenire, di certo per problemi loro, però per me è stato immediato il paragone con il Chiostro di Marcello (vedi post “L’Ora Eterna”), tutto così "familiare", così "vero", così pregno di praticità mista a sogni. Senza gli Orler, che sono veneti delle montagne, poco diplomatici, tutti sostanza, c'è stata molta… "Roma". Molta facciata, molti sorrisi con qualche aiutino-tiratino, qualche pseudo-vip. Menti illuminate del passato di molti studenti d'arte che passano quasi inosservate e malferme, e gente che invece non parla con dietro un codazzo senza fine. Io non sono proprio fatta per queste cose, non lo sarò mai. In certi ambienti non mi sentirò mai a casa mia, anzi, vorrei scomparire, diventare un tutt'uno col muro. E poi non sono certo una che subisce la fama: se vuoi la mia stima, se vuoi anche solo che ti degni di uno sguardo (perché con "stima" parliamo già di cose grosse) non me ne frega niente del bigliettino da visita: dimostrami cosa hai fatto per rendere migliore questo mondo, per renderlo più vero. In un tal clima non c'era la stanza con le sedie ed il banco, dove tu (quello che non sa niente, e quindi tace) ascolti quello che parla (lo studioso, che ti spiega le cose perchè lui le sa, si è preparato apposta durante anni, sa pronunciare i nomi correttamente, anche quelli olandesi). C’era, insomma, un misto di roba strana.
Diciamo che Giovanni Faccenda è stato più bravo del solito ed ha improvvisato, grazie anche all'aiuto infallibile di Giuseppe De Luca, che è il Principe della ripresa, il Re del montaggio, l’Imperatore dei cameramen. Peccato che il Maestro Balsamo non stesse tanto bene (era davvero molto stanco, molto provato), perchè Faccenda è talmente "vero" che vive quasi in simbiosi con gli artisti che segue e di cui scrive, ed era parecchio sull'agitatino pure lui. Riprese volanti, visi, gente, Roma, e poi serve beccare un collezionista "a caso" da intervistare davanti alla telecamera per il filmato Orler. Finirò come Paolini, il ricciolone che alla fine degli anni Novanta si era beccato più di una sberla perché era sempre in mezzo a qualunque ripresa da telegiornale, disturbatore mentalmente disturbato.
Io non so dire di no a Giovanni Faccenda, può chiedermi davvero quello che vuole, decenza ed onore permettendo. Certo che essere piazzata davanti ad una telecamera professionale (mi hanno anche chiesto qual è il mio profilo migliore, col naso che mi ritrovo! Non è che potete inquadrare gli occhi e basta, per caso?) già sapendo che finirai su un filmato ufficiale fa un po' tremarella. Io l'ho già raccontato, ho fatto uno splendido ed utilissimo corso pagato dalla mia Compagnia per imparare come parlare in pubblico: come scaricare la tensione che monta su, i vari movimenti, la gestione della postura, l'intonazione della voce eccetera. Ma tutto presupponendo la Cosa Fondamentale: essere preparati. Avere un argomento. Avere LA SCALETTA, quanto meno! In quell'occasione avevo chiesto al docente: "Mi dia qualche dritta nel caso io venga chiamata a parlare in pubblico (o davanti ad una telecamera) senza preavviso e mi trovi ad improvvisare in preda al panico". Lui mi ha risposto: "Assolutamente sì, questo sarà l'argomento del prossimo corso". Che però io non ho ancora fatto, m/da!
Insomma, Faccenda mi fa: "Mi serve una ripresa: ti chiedo qualcosa sulle emozioni che ti suscitano queste opere, spontanea-spontanea che è la cosa migliore" (credo, più o meno, mi ronzavano le orecchie quando l'ho visto arrivare con il microfono). Ma sì, Professore, facciamolo. Davanti a tutti, per giunta. Dopo tutto, non ho mai avuto problemi a parlare: avete presente qui il fiume di scrittura? Ecco, a parole è tre volte tanto. Mi bastano tre secondi giusto per memorizzare le cinque parole con cui iniziare, e poi vado a braccio. L'ho fatto anche al matrimonio di mia sorella, e parliamo di quindici anni fa, ero ancora un mite lavoratore dipendente: sono salita all'altare, ho preso il microfono ed ho fatto una preghiera che era un mezzo discorso, tutta di pancia, improvvisando, senza leggere foglietti o altro. Le prime parole bene in mente, e via. Lei si è sposata con un dirigente della più grossa Compagnia di Assicurazioni italiana, tanto per non far nomi, e c'erano un sacco di Agenti anche importanti: grazie a questa cosa, al rinfresco ho ricevuto un paio di offerte di lavoro! Parentesi: se a qualcuno viene in mente di dire che qua siamo tutti assicuratori, preciso che intanto lui è un direzionale e non un Agente (parliamo di due galassie diverse), e poi è normale che gran parte dei brillanti giovanotti locali nel tempo siano finiti lì, vista l'importanza che il marchio del Leone Alato ha per il nostro territorio. Se vogliamo dirla tutta, anche mio fratello ci lavora. Sono io che sono andata controcorrente, primo perchè sono Partita IVA, e secondo perchè ho Firenze nel cuore, non Venezia, e si vede in più di un'occasione, mica solo dall'insegna fuori della porta (tifo calcistico a parte, chiaro, lì non si può discutere!).
Allora, ho detto la mia al microfono: non si possono dare definizioni alle emozioni. Le emozioni non le spieghi: le vivi e basta. Ti piace il quadro, ti ci immergi, e non vorresti schiodarti da lì. Ti fa stare bene, come tutto ciò che è BELLO. Quello è il significato, non ci sono gran discorsi da fare. Per la cronaca, sono sopravvissuta, anche se devo ancora vedere il dischetto finito, è presto per parlare, chissà che voce mi è venuta fuori, visto che normalmente parlo come una macchinetta.
La serata si è conclusa con una cena a quattro: io, mio marito, Giovanni Faccenda e Carmine Ciccarini, altro pittore che aveva una mostra sua al piano di sopra (è bellissimo vedere mostre in strutture come il Chiostro del Bramante, sembra un condominio di artisti, diversi mondi, diversi stili, tutti lì per un'idea comune, come in una Montmartre di fine Ottocento).
Sarebbe fuori luogo scrivere di lui-pittore in questo post, magari un'altra volta. Due cose però: persona pazzesca, un istrione, un Batman misto Joker, molto conscio di essere uno-che-piace. Ma contemporaneamente umile, ci ha raccontato di come ha arricchito il proprio modo di dipingere accogliendo i suggerimenti del Professor Faccenda, ed è cosa particolarmente bella, perchè di solito l'artista non accetta che chi artista non è gli vada a dire cosa fare a casa sua. Invece lui ha capito che è un po' come nel tennis: c'è chi non sarà mai un campione, ma è una scheggia ad allenare, ed i campioni li sforna come pane al mattino. A volte il talento da solo non basta (certo, a meno che tu non sia Roger Federer, ma ne nasce uno ogni duecento anni), diventa irruenza, diventa presunzione, va gestito: devi farti plasmare da chi lo sa fare, e bene. Se lo capisci sei già un passo avanti a quelli che credono di poter fare tutto da soli, anche se magari sei meno bravo.
Una cena di risate, aneddoti e confidenze, in una Roma che di sera è magia pura, abbandona il caos di metallo, brutto, molesto, del giorno, e mantiene solo quel suo tipico viavai caciaroso che ti prepara alla notte, e che non dà fastidio, è vita pulsante, è luce che si spegne in rosa, sotto il biancore eterno del Chiostro a proteggerci. Una cena di cui non dirò niente, perchè è stato un bellissimo, ed inaspettato, regalo che conserverò solo per me, nel cassetto dei ricordi belli, quello che apri quando ti capita di essere giù, e ti serve qualcosa di solido, e forte, e che profumi di buono.

Bramante colpisce ancora - Prima parte

I vecchi detti popolari ed i proverbi hanno spesso ragione, si sa; nel nostro caso, "non c'è due senza tre". Dopo tutto, questo Settembre consta di ben cinque weekends, e dedicarne all'arte solo due (Armodio e Scuffi, come già anticipato) tutto sommato ci sembrava riduttivo. Abbiamo approfittato di una nuova accoppiata vincente (cioè il nostro studioso preferito ed uno degli artisti che ci piacciono molto, Vincenzo Balsamo) e ci siamo ritrovati ancora una volta al Chiostro del Bramante, stesso treno, stessa camera, nuove emozioni ma sempre tutte da raccontare.
Mi tolgo subito dalla mente l'incubo del treno, che in Aprile invece avevo vissuto come un gradevolissimo viaggio tra l'ironia e la filosofia del mondo, del resto la primavera predispone a queste cose, mentre con l'estate niente da fare, si perde tutta la poesia tra rivoli di sudore, spiacevoli odori, turisti che invece di un trolley o due se ne portano dietro ventiquattro (e non capisco perchè, visto che d'estate servono di sicuro meno vestiti e meno scarpe!).
Mi sa che abbiamo sbagliato binario, stavolta non abbiamo preso il Frecciargento ma la Freccia dei Ghiacci. Forse non abbiamo ben compreso il messaggio di benvenuto introduttivo, probabilmente era un qualcosa del genere: "Diamo il benvenuto ai gentili viaggiatori della tratta Venezia-Roma informandoli che la temperatura all'interno dei vagoni, impostata in laguna sui quindici gradi, diminuirà gradualmente in maniera proporzionale alla velocità ed ai chilometri percorsi, attestandosi stabilmente da Bologna in poi su gradi sei. Certi della vostra soddisfazione eccetera eccetera". Non scherzo, io soffro il freddo da morire, è una delle pochissime cose su cui litigo con mio marito, che sostiene che vivo in una specie di bolla invisibile in cui la temperatura è regolata stabile a dieci gradi di differenza rispetto al mondo circostante. D'inverno gli faccio cacciare certe urla notturne solo appoggiandogli addosso mani e piedi, all'improvviso, di notte, così i condòmini pensano che stia facendo chissà che numeri, invece sto solo congelando. Voglio dormire con il trapuntino anche a Ferragosto (ce l'ho singolo, solo per la mia metà del letto, sono freddolosa, mica sadica). Difficilmente sudo, e quando sudo io solitamente la gente intorno a me è già che boccheggia per terra da giorni. Quindi SO che non mi devo lamentare se sento freddo in treno, sono io quella sbagliata, non gli altri. Ma quando mi dicono che sono stranamente pallida, tendente al verde, non muovo più le dita, e noto che TUTTI gli occupanti del vagone, dai giovanotti vichinghi alla nonnina americana, fanno corse folli ai bagagli per coprirsi con uno o più strati, forse ho ragione io: fa un po' troppo freddo. Mi sono chiusa nell'unico posto non refrigerato del treno: il bagno. Per fortuna che dalle parti di Firenze è passato, quasi sfuggente sui suoi sci, un signore di Trenitalia, ed i pochi di noi non ancora in ipotermia totale l'hanno convinto a rimettere i gradi celsius per lo meno a doppia cifra.
In compenso, visto che l'avevamo costretto ad interrompere la pattinata d'allenamento, il Capotreno ci ha cacciato giusto davanti un anziano apolide che ci ha deliziato con lo spettacolo del suo pranzo, visibile in presa diretta dalla masticata: panini ripieni di qualunque schifezza reperibile e di vari colori (spero per lo meno fossero una sorta di peperoni ogm, perchè l'alternativa era passare alla fauna). Dita cacciate nel naso a più riprese, fino alla prima falange, e gran rutti. Se non avessi avuto conati di vomito l'avrei anche trovata una situazione divertente, visto che era seduto esattamente di fronte a mio marito, che discende in primo grado da Monsignor Della Casa, ed era paralizzato dall'orrore - così impara ad impedirmi di fare la scarpetta (ma detto come da noi, "tocciare", suona meglio), almeno a casa, mica dico al ristorante, quell'unica volta all'anno in cui mi è concesso il ragù.
Però ammetto che a volte ha ragione, come ad esempio con la questione degli sbadigli (altra roba tipica da treno): ma una volta i genitori non ti dicevano di metterci la mano davanti? Me lo sono sognato o cosa? Mio papà ci tirava certi schiaffi sulla bocca, se non lo facevamo! Da livido permanente. Invece adesso, in treno, dal vichingo alla nonnina, impari tutto sul loro dentista, quando non addirittura sul gastroenterologo.
Chiuso con gli spettacoli dell'andata; circa il ritorno posso solo dire che è stato funestato da un ritardo di quasi un'ora perchè le linee del Ponte della Libertà (quello che collega Mestre e Venezia) erano bloccate: è stato simpatico perchè, dopo circa dieci minuti in cui eravamo stranamente fermi a Padova, una gentile voce ha informato i gentili viaggiatori che il treno era momentaneamente fermo nella Stazione di Padova (avvisi per i non vedenti, credo, che fa tanto politically correct). Se il blocco è là in laguna, portateci almeno fino a Mestre, tanto scendiamo praticamente tutti! Niente da fare, ovviamente i binari di Mestre erano già intasati da tutti i treni che non potevano proseguire. Poi qualcuno ha cominciato a far girare la voce che, se il ritardo supera i sessanta minuti, Trenitalia rimborsa il biglietto Freccia: devono aver buttato in acqua alla svelta un paio di treni regionali con tutti gli occupanti ancora dentro per far un po' di spazio, perchè ad un certo punto ci siamo mossi ad una velocità da brivido, da farci un intero corteo No-TAV, ed abbiamo fatto mea a Mestre esattamente cinquantasette minuti dopo l'orario previsto. Secondo me è stato il signore sugli sci dell'andata, ha visto il biglietto di Paperino e ce l'ha giurata, sistemandoci ben benino per il ritorno, infatti mi pareva che ghignasse.
Anche il Bed & Breakfast, lo stesso dell'altra volta, ci ha riservato qualche novità: adesso non serve più la colazione. Praticamente ha la scritta Bed & Breakfast fuori, ma in realtà è solo Bed. Vuoi vedere che ha litigato con la signora del bar che non voleva darci il succo di frutta? Mah, magari, mistero. Datemi almeno la stessa camera dell'altra volta, che aveva portato tanta fortuna visto che era stata una serata bellissima; macchè (oggi va tutto di emme). Un giovialissimo musicista (alternativo anche lui, come il padre, nonostante la emme) insisteva per farci dormire in una camera secondo lui migliore perchè ha il soffitto a travi e sta in una torretta medievale totalmente restaurata. Bella, ma non così vicina al Chiostro, e poi non mi faccio coi tacchi (a zeppa e non a spillo stavolta - raramente faccio due volte lo stesso sbaglio - ma pur sempre tacchi alti) venti rampe di scale come quelle senza un’adeguata imbracatura da roccia solo per dormire qualche ora sotto un soffitto a travi. Si è stupito, lui, perchè gli ho detto "no, grazie" mentre invece di solito i turisti s’incantano (gli americani, forse, di quelli che vivono nei prefabbricati anti-tornado e pensano che l’architettura sia cosa inventata da loro negli anni Trenta, della serie che senza Wright e la sua Fallingwater qui si dormiva tutti in capanne di fango o dentro qualche caverna). Mica sono in viaggio di nozze a godermi Roma, devo solo farmi una doccia veloce, mettermi qualcosa di non sporco da organismi geneticamente modificati, e andare dal Professor Faccenda che aspetta, accipicchia, capirai che me ne frega del tetto. Niente da fare, la camera di Aprile non ce la danno, e io insisto. Alla fine, visto che la Mastercard è la mia, lui si è arreso e ci ha alloggiato lì; però poteva dire che non ce la voleva dare perchè stanno rifacendo la facciata, e appena aperta la finestra gli operai ci hanno salutato dall'impalcatura mettendo direttamente la testa dentro la stanza. Amen, colpa mia, ho fatto tutto da sola stavolta. Però ha portato bene lo stesso, la serata è stata comunque speciale.

mercoledì 12 settembre 2012

Ferragosto in discarica

E così alla fine sono davvero morte, tutte. Parlo delle piante del mio terrazzo-zen, quello con le poltroncine nude perchè i cuscini stazionano perennemente nella doccia (chiedere delucidazioni a Paperino), quello con la pompeiana in legno ed il grosso e pesante tendone motorizzato, scelta obbligata dopo aver raccolto i primi due tentativi di tende, leggere ed eteree, nella piazza principale del paese, e per fortuna che erano assicurate, così me le sono indennizzate praticamente da sola. Del resto, quando ho firmato il rogito non mi avevano avvisato che stavo comprando la terrazza più ventosa di tutto il Nordest, quasi quasi ci metto una mini-pala eolica e mi rifaccio dei soldi che ci rimetto con il rapporto S/P degli Eventi Atmosferici sempre sballato.
Terrazzo-zen che, a dir la verità, tutto sommato adesso non ricomprerei; è un po' come con le automobili, si tratta di fare esperienza e poi depennare ciò che non ti serve: le coupé sono belle ma non ci starà mai una intera spesa, i suv sono solidi ma rumoreggiano come dei furgoni... Dopo vari tentativi vai per priorità e trovi il modello che più ti si adatta.
Ho anelato per anni l'idea di un bel terrazzino, ben curato, in cui chiacchierare con gli amici durante le lunghe serate estive, e poi quando ho potuto permettermelo mi sono ammalata di Quadrite Acuta, ed ho scoperto che non mi piace poi così tanto una stanza enorme che costa al metro quadro come le altre ma è priva di pareti! Senza contare che per soddisfare gli impulsi più estremi della Quadrite ormai cronica devo lavorare come una matta, e nelle lunghe serate estive cado dal sonno alle nove e mezza, per cui gli amici sono costretti a frequentare altri terrazzi, in case spoglie ed anonime come ospedali, ma in cui sanno fare le ore piccole come nessuno.
Tra l'altro, non ho mai avuto il pollice verde, l'ho sempre ammesso, continuo ad ammetterlo e non mi prendo la responsabilità di alcuna pianta, neanche di un cactus. Mio marito invece no, lui è bravo, le cura, le pota, le annaffia, e spesso anche ci parla... ma niente da fare, evidentemente erano tutte juventine anche loro, e non ne volevano sapere di farsi coccolare da un interista. Oppure questa estate ha davvero fatto troppo caldo, o anche loro sentivano la crisi e lo spread. Un acero, un piccolo pino di quelli sagomati a trivella, ed una costosissima pianta giapponese con le nuvolette verdi, che se l'avessi saputo prima che era così fragilina mi compravo piuttosto un altro acquerello di Scuffi, tanto come cifra siamo lì. Ma guardiamo il lato positivo, non avremo più terriccio, foglie e materiale organico vario sparsi per tutta la terrazza (il vento non fa sconti a nessuno, mica si limita a strapparti le tende, sarebbe troppo facile; ti porta via le tende ed in cambio ti lascia un bel po' di porcherie da ripulire). Ho comprato quattro palle di bosso finte su Ebay, da un ragazzino che le aveva usate solo per il recentissimo matrimonio e non sapeva che farsene, ho approfittato prima che cambiasse idea  - non sulle palle di bosso, sulla moglie, visto che i matrimoni oggi durano praticamente pochi mesi, ed i bossi finti per riciclare gli addobbi ne sono un ottimo indicatore.
Viene a fagiolo Ferragosto per sbaraccare tutto, tagliare tronchi, riempire grossi sacchi di terra, e portare l'intero ciarpame in discarica. Perchè è evidente che a Ferragosto la discarica sarà deserta, saranno tutti al mare. E invece no, è come con il Paniere dei Prezzi al Consumo, dal quale sono spariti i calzettoni di cotone perchè è arrivato l'I-Phone, oppure il costo dell'abbonamento alla palestra al posto delle mollette per il bucato. Siamo tutti in crisi bella gente, ed un giro in discarica può dare la misura di come siano cambiate le abitudini degli italiani. E' vero - va ammesso - che la discarica del Comune dove abitiamo è veramente un modello d'efficienza, pulita e ben tenuta, con i suoi enormi containers grossi come villette a due piani suddivisi per tipologia del rifiuto: calcinacci, verde, carta, elettrodomestici eccetera. Dotati di altissime rampe per la salita e la discesa in terra battuta da far la gioia di ogni crossista (o ex-crossista, infatti mio marito pian pianino ci sta demolendo il marciapiede pur di avere una scusa per farsi due salti sul panettone della discarica, anche con la Delta va bene lo stesso).
Ma da questo a renderla un posto alternativo alla spiaggia ce ne passa. Eppure quest'anno, per smaltire un po' di tronchi e della terra da fiori, mio marito mi ha salutato con un lungo abbraccio ed è partito con un sacchetto di panini e due bibite nello zaino. Sapevo che l'avrei rivisto, ma non sapevo quando: la coda per accedere alla discarica superava - per numero di vetture ferme - quella verso Jesolo nelle ore di punta; i containers più appetibili se li erano accaparrati fin dalla mattina, con ombrelloni e sdraio. Ha assistito a loschi traffici di padri di famiglia che barattavano il proprio rifiuto ingombrante con plastiche da schiacciare. Giovani coppie che amoreggiavano sulle rampe di accesso ai containers, impedendo il normale deflusso dell'utenza, ma vuoi mettere quanto romantico è da là sopra, se chiudi gli occhi e vai un po’ di fantasia ti senti come nella suite dell’ultimo piano del Molino Stucky. Bambini e cani con il frisbee in mezzo al verde differenziato. Gli addetti alla discarica che distribuivano bottigliette d'acqua ed asciugamani puliti, come i volontari della Protezione Civile con le coperte il giorno in cui, lo scorso inverno, la A1 era rimasta improvvisamente bloccata nella morsa della neve con mezza Firenze dentro, ferma ed infreddolita.
Bei tempi quelli in cui le famiglie si sedevano a programmare le due settimane esotiche! Adesso certe mete se le possono permettere solo politici e politicanti (con annessi bodyguards ed amici), vale a dire i principali responsabili della situazione di tutto il Paese; e loro nemmeno pagano, visto che le vacanze gliele paghiamo noi. La gente normale può solo sperare di non arrivare troppo tardi, perchè così ti becchi l'ultimo container rimasto, quello dell'umido.

domenica 9 settembre 2012

Improvvisamente, pioggia

(Anche questo fa parte del gruppo dei post agostani, e per fare da contraltare allo struggimento di Dust in the Wind, che chiudeva la mia amarezza traboccante di Ferragosto, ho cercato immediatamente – all’inizio, non alla fine – un altro brano. Una canzone conosciuta ma non conosciutissima, che riesce sempre ad iniettarmi buonumore, a farmi venir voglia di canticchiare, come ho scritto anche in uno dei commenti ad “Epidemia di positività”. Una canzone che, se mai uno me la dedicasse, mi farebbe cascare a suoi piedi – splat! - come un caco maturo dall'albero. Piace a molti perchè poi, al di là del giocoso motivetto, c'è questa storia di un amore dietro, di questo amore all'inizio – è ancora tutto innamoramento, è ancora luccicoso - del buon Charles francese che è cotto della Girl inglese, e deve far combaciare due mondi diversi, due linguaggi diversi, due modi di pensare diversi. Come qua su Trecose, come capita tra assicurazioni, arte e uomini. Tra poesia e prosa. Tutto torna dove deve tornare, ed alla fine è sempre quel sornione "I love you" ad alta voce che muove il mondo).





Di una cosa sono più che certa: difficilmente dimenticherò l'ultimo giorno di Agosto di quest'anno. Agosto è giunto alla sua fine, bene o male così com'era iniziato: con un certo languore di sottofondo, con una certa inquietudine, con una serie di incertezze poco piacevoli.
Il post che ho messo on-line ieri (ma “Scritto in una giornata d’Agosto”) era davvero emblematico. Riprendi a fare le cose che devi, rimetti in movimento il treno lungo il suo binario, ma tutto sommato il carburante è scarso, la voglia ti manca, cominci seriamente a pensare se è ora di fare valutazioni più profonde, perchè non sei più una giovinetta ma - che diamine! - tutto sommato sei ancora molto lontana dalla fossa, forse c'è ancora un pezzo di vita davanti da potersi reinventare, anche se la razionalità ti dice di no, ti supplica di limitare la pazzia a cose controllabili. Quindi quando senti al telefono quel tuo amico Collega anche lui stufo marcio che medita di mollare tutto ed aprire un agriturismo, magari non è il caso di rispondere "vengo anch'io, anche solo per lavare i piatti".
Un fine Agosto di venerdì, tra l'altro, per cui conti di fine settimana e conti di fine mese insieme, tanto per finire tardi con gli appuntamenti extra e prendere atto per l'ennesima volta di quanto male stia andando il 2012 rispetto al 2011, che già era uno schifo rispetto al 2010 (magari qualcuno lo spieghi a quelle menti semplici del Sindacato dei miei dipendenti, che continuano a pretendere aumenti contrattuali per i propri associati perchè - poverini loro - non arrivano a fine mese; dal muro non ho ancora capito come cavarne fuori, ed ho un certa ripugnanza per i falsi in ogni settore... beh, a parte le borse, forse).
Poi è successa una cosa incredibile: verso le sei di sera è arrivata la pioggia. Non che la pioggia in sè sia cosa incredibile, anche se a dire il vero erano almeno tre mesi che non si vedeva qua da noi un bell'acquazzone; è stato incredibile l'insieme degli eventi, il susseguirsi delle azioni, ed in effetti sono arrivata alla consapevolezza di essere davvero un po' fuori di testa. Sotto sotto probabilmente, ma lo sono. C'è da dire che è stata una pioggia bella grossa, di quelle con i goccioloni solidi, di quelle che ti creano tutt'attorno un lieve mare di qualche centimetro in pochissimi minuti, anzi non un mare: un prato, un prato liquido e trasparente sul quale spuntano come fiori d'acqua - fitti fitti - le sculture instabili della gocce che si infrangono e penetrano. Attimi di vita d'acqua. Acqua che sa di pulito, acqua che sa di natura.
Acquazzoni così in vita mia ne avevo già visti, ma sempre da casa, o dall'ufficio, o da sotto un porticato, o con un bell'ombrello in mano (così al limite ci rimetti solo le scarpe). Alle sei di sera mi sono resa conto - improvvisamente - che ero in tuta da ginnastica, con una maglietta usata, con delle ciabattine infradito già destinate da qualche giorno ad essere rottamate alla fine dell'estate, e soprattutto con i capelli in disordine e comunque da lavare. Ed ho pensato: "Adesso mi butto!".
Mi sono buttata al di là di una tenda liquida, fatta di fili di perle compatti e gocciolanti; non è come tuffarsi in mare, o in piscina, dove l'elemento "acqua" è tutto intorno, è denso, se tu che penetri lei, non lei che ti avvolge, tant'è che devi trattenere il respiro, quasi per scusarti. Una pioggia intensa è tanta acqua e tanta aria insieme, è tanto di tutto che ti avvolge, mentre tu puoi continuare a camminare sul terreno, a correre, muovendoti e respirando esattamente come fai di solito. Ho fatto dieci metri a piedi, solo dieci perchè poi mio marito mi ha cacciato in macchina dubitando della mia sanità mentale, ma è stato bellissimo. La PIOGGIA era bellissima, anche un po' tiepida, era come sentirsi inzuppare da miele, ma meno appiccicoso. Questa cosa sì, era la prima volta che la facevo! Ho davvero aspettato quasi quarantacinque anni per immergermi corpo e anima in un acquazzone! Che perdita, che colpa, che spreco: è una cosa da fare assolutamente, da far fare ai bambini, senza l'impermeabile o la cerata tanto poi a casa li asciughi, e poi fa ancora caldo, mica devi annegarli in Gennaio. Dieci metri, venti secondi, trenta battiti di cuore. La maglietta immediatamente zuppa, braccia e mani lucide e morbide, viso come di lacrime altrui, i piedi a mollo, e... i capelli, che sensazione incredibile, come sotto una doccia aperta, acqua a piene mani che ti cola dappertutto, non troppa e non troppo poca, giusto quello che serve per sentirli pieni di acqua e di riccioli di cielo. In effetti non avevo alcun ricordo precedente di una esperienza simile e così intensa (neanche da bambina, e credo sia logico perchè la mia inflessibile mamma mai e poi mai ci avrebbe permesso di inzupparci così solo per il gusto di farlo), un contatto così profondo con il mondo naturale e soprattutto VOLUTO. Nel senso, non è la pioggia che ti becchi quando non vuoi, quando non sei preparato, e fai di tutto per proteggerti mentre la mandi a quel paese. In quei dieci secondi  io ho voluto la pioggia, io SONO STATA pioggia.
Sono salita in macchina emettendo gridolini di delizia con mio marito che mi guardava come una deficiente, soprattutto quando gli ho spiegato l'emozione dei capelli appena gonfiati d'acqua ma non zuppi, visto che lui è adorabilmente pelato ed ha osservato con il suo usuale sarcasmo che tutta quell'acqua meravigliosa che a me si ferma tra i capelli a lui cola dietro la schiena. Ma non è così, anche a me colava giù per la schiena, e sul seno, e sulla pancia, ma non mi importava.
In garage abbiamo trovato il nostro vicino, quello della Corvette, e mi sono messa a raccontare anche a lui questa cosa (mentre lui e mio marito erano tutti intenti a controllare che le pompe idrovore del sotterraneo funzionassero a dovere, visto il fiume d'acqua che scendeva roboante giù per la rampa), ed ero perfettamente conscia di apparirgli come una rimbambita totale, oltre che completamente bagnata, ma andava bene lo stesso: io VOLEVO trasmettere queste sensazioni a qualcuno! No, non a qualcuno, a TUTTI. Sono stata pioggia per venti lunghissimi, infiniti, splendidi secondi, e sono tornata felice dentro. Anche se il vicino ha osservato che non avevo "le calzature adatte".
Mio marito, dolce e pratico come sempre, ha detto che l'anno prossimo, se mi ricapita un brutto periodo, invece di centellinarmi il bromazepam mi ficca dentro ad un tunnel da autolavaggio.
So di apparire sciocca, so che mi sono sentita sciocca in effetti, ma si trattava solo della parte razionale di me, quella che aveva appena chiuso i conti e pagato gli stipendi. L'altra parte di me, quella che riesce ancora a guardare "oltre", a sognare ed a divertirsi con poco, si è sentita soddisfatta e positiva. L'anima pulita e rinfrancata è tornata a predominare. E mi ha messo addosso una voglia di pizza pazzesca.
Puntualmente, arrivati a casa, ci siamo fiondati in divano a guardare le nuove riviste arrivate (il venerdì sera, prima di incollarsi a Dario Olivi, è dedicato a quel piacere particolare rappresentato da togliere il cellophane dalle riviste e decretare - finalmente, nel modo più bello e gustoso - l'inizio del weekend), e tra l’altro essendo fine mese c’erano anche i mensili, non solo i settimanali.
Io ho preso su Quattroruote, con la presentazione della nuova Ferrari F12 Berlinetta, che sembra disegnata da Giotto in persona, è di un bello soprannaturale, soprattutto la parte dietro davvero diversa dal solito (un lato B così non ce l'ha neanche Nina Senicar). Atto dovuto, visto che mio marito era stato più lesto e si era accaparrato Arte, ma poi è arrivato anche il mio turno.
Sull'ultimo numero di Arte c'è un trafiletto per la presentazione della mostra di Armodio che andremo a vedere a Palermo (con un notevole errore, da bacchetta sulle mani, proprio sul nome dell’artista), con uno dei quadri che saranno esposti, quello con l'uovo (spero tanto che l'abbia già comprato qualcuno quando è stato presentato in Sardegna, in Giugno, perchè ho già visto che la mia dolce metà comincia a farmi gli occhioni imploranti come il Gatto di Shrek ai quali - di solito - cedo senza ritegno). La copertina del catalogo con le venti tavole in verità era già on-line da settimane, nei vari siti specializzati, con una definizione terrificante ed immagini troppo piccole per essere ingrandite e gustate davvero, però io l'uovo l'avevo beccato subito, ed è stata una sorprendente coincidenza vedere che era stata scelta proprio quell'immagine là. C'è troppo Piero della Francesca dentro, ed anche fuori, con una tenda che si apre appena, come nel Sogno di Costantino (e nei circhi di Scuffi!). Così me la sono gustata bene, con tutti i suoi piccoli particolari che tuttavia non ne intaccano l'essenziale semplicità, con quei suoi mattoncini di perfetto calcare alla base, e quella sua aria da sabbia bagnata sullo sfondo, bagnata come i miei capelli: ero proprio predisposta, dopo una doccia benefica che mi aveva ridato il sorriso nel modo meno programmabile. Da una nuvola.
Ci siamo scambiati i giornali due-tre volte, ed ho ringraziato l'arrivo di un nuovo, impensabile Settembre. 

sabato 8 settembre 2012

Scritto in una giornata d'Agosto

(Questa è una di quelle pagine che mi sono fluite fuori la settimana di Ferragosto, un po' diverse dalle solite mie, ma del resto sono testarda ed evidentemente un po' scema; continuo a credere di potermi rimettere in sesto in sette-dieci giorni da tutto un anno di tensione, di pensieri, di problemi, di discorsi, di crisi generalizzata. E' impensabile che tutta l'adrenalina che solitamente mi sostiene da Settembre a Luglio improvvisamente ad Agosto se ne vada solo perchè glielo chiedo, e mi lasci tranquilla - soprattutto se puntualmente rinnovo l'abbonamento ai casini personali! Infatti i primi giorni di riposo li vivo con un crollo di tensione inaudito, che mi butta su un'ansia che fa Provincia - una Provincia di quelle grosse, che è difficile eliminare anche con tutta la buona volontà - e poi quando finalmente sto per rilassarmi è ora di riprendere di nuovo. Sono proprio un genio.
Ad ogni modo anche in uno stato emotivo diverso ho continuato a scrivere, ed è giusto che sia così, perchè se questo è il mio diario on-line in cui rifletto con me stessa e chi passa per di qua, certi lati più ombrosi di me vanno conosciuti. Mica posso essere sempre al top, ed in fondo è sempre meglio vedere una verità triste che una bugia allegra.)

Oggi sono triste, molto triste e molto malinconica. Non è uno stato d'animo usuale per me, ma ogni tanto mi capita, giusto per ricordarmi che sono umana e non robotica, probabilmente, oppure che non è normale essere sempre felici (o aspirare ad esserlo). Evidentemente c'è qualcuno che detesta queste mie battaglie per la diffusione della felicità, o quanto meno non le sopporta bene, ed ogni mai mi viene a disturbare. Dal momento che mi capita poche volte l'anno, arriva sempre in maniera abbastanza massiccia, mi prende in modo viscerale, perchè anche nei miei picchi negativi se una cosa va fatta, che sia fatta come si deve, non facciamoci mancare niente. No, "viscerale" non è corretto perchè non richiama istintivamente il punto esatto in cui mi sento afferrata. Le viscere non c'entrano, il mio stomaco sta sempre benissimo. E' solo che mi sembra di avere un lastrone di cemento appoggiato allo sterno, oppure - risalendo - una specie di mano di freddo metallo che mi stringe la gola. Stringe, stringe, stringe, costringendomi a respiri fitti fitti e piccoli piccoli, sempre con la sensazione che non entri mai abbastanza aria. Non dà bruciore: solo soffoca, e mi impedisce di parlare. Mi impedisce di pensare, quasi mi mancasse l'ossigeno. Mi impedisce di sorridere, anche solo di muovermi, a volte. O meglio, non che non possa, non che ne abbia impedimento: mi toglie la VOGLIA di farlo, di fare qualunque cosa. E mi cosparge di un malessere generico, appiccicoso come bava di colla.
Non che ci sia un motivo specifico, qualcosa di scatenante: arriva e basta, picchia forte all'improvviso facendomi sentire così... incerta, così inutile, così inadeguata, così... insoddisfatta? Perchè tutte sensazioni con la "i", poi? Già sorriderei io, a questo punto, solo per questa buffa cosa della "i". Che Idiota.
Ammetto che il periodo dell'anno è bene o male sempre quello, perchè - forse - lavoro troppo, o perchè - ancora forse - c'è in giro tanto, troppo egoismo: arrivo in estate stanca morta, stanca di dover sempre cercare di risolvere problemi senza (quasi) mai uno straccio di grazie, stanca di dover ascoltare ed annuire a discorsi che arrivano dall'alto (da gente che non ha mai parlato con un Cliente Incazzato in vita sua) e che ritengo interessanti al pari di uno studio sulla profilassi dell'afta epizootica, stanca di chi non ha mai detto "ho sbagliato" in vita sua, stanca del pressappochismo dilagante, stanca di chi non accetta un no motivato, stanca dei falsi e dei bugiardi, stanca degli ipocriti, stanca dei furbi (e degli stupidi che vogliono fare i furbi, praticamente lo stadio evolutivo immediatamente successivo alle cavallette, seppur bipedi hanno la stessa utilità e sono simpatici uguali).
Sono stanca di dover ogni mese, mese dopo mese, mese dopo mese dopo mese, far quadrare i conti del mutuo, delle bollette, delle tasse, degli stipendi, degli affitti, dei contributi. Sono stanca del fatto che i conti, poi, quadrino sempre, perchè vuol dire che sto facendo le cose per bene e che sono brava, ed è esattamente quello che la gente si aspetta da me. Sono stanca che la gente si ASPETTI qualcosa da me, sono stanca che sia scontato! Sono stanca della gente in generale, delle facce note, della quotidianità, e questa cosa è brutta, ma fa parte del lastrone sullo sterno. Quando mi prende, vorrei scappare: altra vita, altre facce, tutto daccapo. Riavvolgiamo la bobina e mandiamo un film in cui io, invece di essere "così" come sono, sono quella con il codazzo di amici e parenti che le sbavano ai piedi pur di reggerle il fazzoletto, pur di pulirle la scarpetta, pur di asciugarle la lacrimuccia. O forse no, alla lunga diventerebbe palloso. Via tutti. Rimandiamo il film solito in cui io sono tosta e reggo fazzoletti, pulisco scarpette, asciugo lacrimucce, ma magari lo interrompiamo per la pubblicità ogni tanto, giusto per prendere fiato (Pubblicità: "Comprate arte dalle Gallerie Orler!").
Lo so che è normale essere stanchi, forse è solo la stanchezza fisica che si vuole a tutti i costi infilare anche nella mia mente, nella mia anima, e mi fa vedere cose non vere, magari mi basta una settimana ad occhi chiusi e passa tutto. Deve essere così, perchè altrimenti comincio a non sopportare più ciò che di solito mi fa stare bene, a cominciare dai rapporti umani (gli incontri quotidiani e quelli, desiderati, più rari) per finire con le cose (i quadri, i tappeti, tutto il bello di cui ho cercato di circondarmi). Finisce che incolpo loro del fatto che sto male io, quasi che il troppo "bene" che mi hanno trasmesso diventi d'un colpo tutto negatività. Bum, come uno scoppio, come un petardo sbagliato.
InutileIncertoInsoddisfattoInadeguato.
Poi, prima di andarsene, la mano metallica scende al cuore, mi sento come se lo stringesse in un abbraccio congelato, non per distruggerlo ma quel tanto che basta per spremerlo e farlo gocciolare; fa male anche a sentirlo da fuori. E' come se subissi un'assenza costante, come se fossi in attesa di qualcosa - o di qualcuno - che non esiste. Mi disturba il fatto che basti un semplice cambio di vocale, quasi uno scherzo dell'enigmistica sulla mia pelle, per trasformare l'essenza in assenza. L'essenza, cioè come sono io, sempre, com'è la mia norma, com'è il mio sorriso, com'è il mio spirito, che in un attimo se ne va e mi lascia a tentare di respirare il vuoto. Essenza ed assenza, due facce opposte, sempre mie.
Quando sta per arrivare il vuoto di metallo solitamente lo sento, e allora mi premunisco con qualche goccia di qualcosa-che-vada-bene (qualsiasi cosa a base di bromazepam), e quindi passa in fretta. Ma questa volta non è successo, perchè il tempo è particolarmente caldo e afoso, e non posso scolarmi una bottiglietta di Lexotan se non voglio che la pressione mi vada a quaranta (la massima, ovviamente). Perchè io soffrirei un pochino di pressione bassa, giusto quel pochino che fa sì che i medici, quando te la misurano, non ci credano mai al primo colpo e riprovino smoccolando perchè sono convinti che il nuovo sofisticatissimo misuratore regalato dalla Procace Informatrice Scientifica del Farmaco sia una patacca (io sorrido e li tranquillizzo, è proprio così, sono un morto che cammina). Però in compenso non dovrò mai - in teoria - temere un infarto, solo qualche collasso di punto in bianco, dovunque ti trovi. Cominci a vedere tante macchie, non ti senti più mani e piedi, e vai giù come una pera troppo matura dall'albero. Le prime volte ti spaventi anche, poi impari, e giri con le pastigliette di etilefrina sempre nel portafoglio (magari senza documenti e senza soldi, ma con l'Effortil sempre, così se qualche misericordioso ti raccoglie è in grado di farti rinvenire senza perdere tempo a capire chi sei o se vale la pena di derubarti).
Una delle prime volte, me lo ricordo ancora, avevo ventitre anni, ed era (ovviamente) una estate torrida, un luglio schifosissimo. Ero in ufficio, lo stesso ufficio dove io adesso sono Il Capo, solo che all'epoca ancora non lo sapevano. Mi sono spiaccicata a terra come la citata pera, e tutti si sono spaventati un sacco, che carini. Si è mobilitata una task force: un carissimo Cliente che all'epoca faceva il tassista si è prestato al trasporto, e ancora se lo ricorda adesso, da pensionato, il caro Bari Dodici, quando passa a trovarmi, e fa la faccia preoccupata. E quello che sempre all'epoca era il nostro aitante Ispettore Commerciale (il ruolo che ora è di Zelig) mi ha portato in braccio su per quattro piani di scale, perchè dove abitavano i miei l'ascensore non c'era, ed anche lui se lo ricorda ancora, visto che da quel giorno non è stato più lo stesso, credo che quanto meno gli sia uscita un'ernia. Adesso fa l'Agente, in Friuli, ci incontriamo a tutte le Interregionali ed ai Congressi, ed è sempre tanto premuroso, come mi vede mi chiede se ho dietro l'etilefrina, se gli dico di no chiede un tavolo in Nuova Zelanda. Chissà se Zelig sarebbe in grado di portare amorevolmente in braccio una paffuta ragazzina su per le scale senza farla cadere o spezzarle un braccio.
Tutto questo sproloquio sui malori della mia giovinezza giusto perchè sia chiaro che il Lexotan e l'Effortil non vanno presi contemporaneamente, visto che uno tende - in soldoni - a calmare e l'altro ad eccitare, e quando capita questa interazione il mio organismo mi chiede se sono rimbambita completamente ed entra in sciopero ("Deciditi cara, che cavolo vuoi? Vuoi che ti tiri su oppure giù? Non siamo mica a Giochi senza Frontiere, qua, eh").
A me resta sempre l'asso da giocare, che è il mio potentissimo Angelo Custode, ma in questi giorni gli ho chiesto di star vicino ad una persona per me tanto importante e cara fino ai più remoti angoli del cuore, che ha bisogno più di me di una mano cazzuta adesso, e non mi va di fargli fare gli straordinari. E a dire il vero quando sto così non mi va in generale di chiamare in causa gli Angeli e tutto il loro onnipotente contesto. Sarebbe troppo comodo, e poi non imparerei niente: non riuscirei ad essere davvero FELICE se non provassi - ogni tanto - il soffocamento e l'angoscia dell'essere TRISTE. Perchè spesso, per trovare qualcosa, basta rovesciarne un'altra, al contrario, come un guanto o un calzino. Posto di imparare in fretta!
No, la tattica è un'altra. Per una volta non sarò rocciosa, non sarò forte, non sarò uno dei quegli splendidi alberi massicci che danno refrigerio a chi ci passa sotto, in mezzo ai campi assolati, che fanno da casa a tanti animaletti, che svettano come dei fari nelle giornate più caotiche, e poi alla prima tempesta violenta si spezzano in due, o se va bene perdono mezzi rami. Via per una volta, animaletti, andate a mangiare altrove, o state senza mangiare un paio di giorni, che male non vi fa. Oggi sarò un giunco, un esile e nascosto giunco lungo la strada, scommetto che chi passa neanche mi vede, figuriamoci se mi guarda (così ottengo un doppio scopo, perchè se chi non ti vede passa avanti, non può neanche farti del male, cincischiarti, spiluccarti ...). Così quando arriva la violenta tempesta, quella con i fulmini che bruciano, quella con il vento che morde, io mi piego, mi piego, mi piego. Ma non mi spezzo, assolutamente. Mai.

venerdì 7 settembre 2012

Qualcosa su Antonio Nunziante

Questo blog comincia ad essere frequentato da più di una vocina impertinente!
Si può dire il peccato e non il peccatore; più di qualcuno mi ha chiesto come mai non scrivo "qualcosa su Antonio Nunziante", visto che è un nome che ho comunque comprato per volontaria scelta, e porta sempre targa Orler. Detto/fatto, anche se non credo vi riferiste al titolo e basta. Spero vivamente non sia perchè vi siete stufati di sentirmi parlare di Marcello Scuffi, perchè in questo caso vi potrei dare un bell'elenco di altri blog interessanti dove piluccare mentre io mi dedico al mio passatempo preferito, che è appunto parlare - e parlar bene sempre - di Marcello, della sua pittura e della sua umanità.
Nunziante, allora. Non è vero - suvvia! - che non ho mai scritto niente su Antonio Nunziante! In "Colpi di fulmine" ho detto che ho una sua opera, insieme alle quattro di Scuffi (ad essere onesti oggi come oggi siamo due a otto, sempre perchè sono amante della precisione e certi matematici rapporti vanno mantenuti: è l'equilibrio della vita, o forse più prosaicamente è il fatto che i quadri di Scuffi sono come le ciliegie, uno tira l'altro, più ne hai più ne vorresti). In "Io e Van Gogh" ho detto che, pur non essendo Mister Simpatia, con il pennello in mano dice la sua. E se mi è concesso esprimermi in dialetto, an'ca massa.
Ma non voglio far storcere nessun naso, per carità. Nunziante è bravo, davvero! Un pittore eccezionale. In assoluto io, personalmente, preferisco i cicli dove in un modo o nell'altro raffigura le sue bottigliette antiche, sono splendidi, a colori o in monocromo: come dei ritratti di famiglia, oggetti di tante misure diverse ma tutti della stessa specie, dalla bottiglietta-nonno alla bottiglietta-nipote. Guardo la mia luminosa maiolica e vedo una foto di fine Ottocento: tre generazioni insieme che vanno a farsi ritrarre in posa, nello studio del fotografo del paese, quello bravo, che sa che tirati a lucido sembrerebbero tutti finti, e quindi li lascia come sono.
Trasparenze accennate, sovrapposizioni di velature, polvere, luce ed ombra. Meravigliose.
Potrei parlare veramente per ore dei suoi quadri: è lui che mi sta sulle scatole! Senza offesa, eh, ma se adoro Scuffi come faccio ad amare Nunziante: sono come il giorno e la notte, l'acqua santa e il diavolo, la carne e il pesce, la Juve e il Milan! Scuffi è una calamita, attrae tutti in un abbraccio. Nunziante respinge, ti tiene a distanza, ti fa sentire un miserabile senza vita al quale lui regala qualche attimo di esistenza. Solo se vuole, ovviamente, o a pagamento. E sì che ha messo su un'organizzazione di marketing mica da ridere, è praticamente una fabbrica, chapeau anche in quello (altro che Scuffi che non vuole neanche prendere in considerazione l'idea di un archivio fatto come si deve, nonostante il buon Luciano da Orler insista tanto); certe cose, come tenere le pubbliche relazioni, un buon uomo-marketing dovrebbe saperle.
Sarà che su questo io non riesco a far sposare tanto testa e pancia, e visto che Nunziante è ancora vivo e - nonostante i tempi ora corrano veloci rispetto a trent'anni fa - non ancora storicizzato, forse dovrebbe pensare un po' di meno e usare il cuore un po' di più. Ma dai, un pelino di umiltà... Non pretendo che tu mi autografi il catalogo scrivendo un seppur fintissimo "con amicizia" o "con simpatia"... Ma almeno chiedimi uno straccio di nome, visto che mi sono macinata quattrocento chilometri per venire a vedere i tuoi nuovi lavori! Macchè, mi hai fatto la sigletta sbuffando e guardando dall'altra parte, come un insegnante che corregge i compiti senza passione. E' vero che sei bravissimo e hai una tecnica eccelsa, ma te lo deve dire il critico, o al limite il fruitore, non te lo puoi andare a dire da solo in video, auto-incensandoti come un Santo in una cattedrale (sentito con le mie orecchie, durante uno Speciale da Orler). Tu dipingi, devi fare in modo che i collezionisti provino un'emozione guardando i tuoi quadri, non devi imporglieli perchè sei eccelso, che diamine.
A proposito, i collezionisti: se un pittore vivente mangia a fine mese è perchè vende i quadri. E' la Regola Numero Uno. E non c'è una Regola Numero Due. Quindi il collezionista, grande o piccolo non importa, deve stare al primo posto: prima lui, poi tutto il resto. Prima lui, poi le istituzioni. Prima lui, poi tu. Al limite, prima lui, poi il tuo gallerista (che fa da tramite e caccia i soldi per la tua promozione), poi tu.
Ad esempio, una cosa che non mi è piaciuta: Nunziante ha un gruppetto di appassionati che hanno messo su un Forum. Un pochino kitsch se vogliamo, e un altro pochino fuori di testa (perchè a meno che dietro uno di quei nomi non si nasconda Flavio Briatore in persona, certe cifre spese senza alcuna garanzia per Nunziante da comuni mortali non sono un buon segno), ma appassionati davvero, tifosi direi, quasi ultras, di quelli che si muovono in massa con gli striscioni e le trombette. Un po' di tempo fa Zio Tony manda una lettera a questi del Forum invitandoli a lasciarlo tranquillo, spegnerà la webcam del suo studio e si ritemprerà in famiglia. Traducendo poteva suonare come un "sentite fastidiosi pezzenti, mi avete asfissiato, adesso basta, ho altro a cui pensare che non star dietro a voi, l'Europa mi aspetta, anzi guardate mi prendo anche il curatore internazionale perchè fa tanto figo, così mi dice lui come devo dipingere per piacere meglio all-over-the-world".
Bruttissimo, ma passi. Se davvero hai fatto il salto, buon per te. E invece no, fresca fresca di questa estate una nuova letterina piena di ringraziamenti e dolci parole, perchè visto "l'immobilismo delle istituzioni" in Italia, l'Eccelso vuole tornare al mercato, ripartendo da un bel contatto con quei quattro sfigati che aveva preso a calci in bocca poc'anzi. E ringrazia Dio che questi ti riempiono di cuoricini e sbrodolamenti, perchè se era per me reagivo come quando il mio primo morosetto mi aveva piantato all'inizio dell'estate, dopo quattro anni (parliamo di oltre vent'anni fa, praticamente nel Mesozoico). Per un'altra, apparentemente più carina, con tutta probabilità meno intelligente, direi sicuramente più esperta e disponibile a fargli fare quattro salti e a fargli spendere quattro soldi (da notare che a me faceva pagare a metà tutti i conti del ristorante, anche quando lui già lavorava mentre io ero ancora all'Università). Dopo la lunga estate calda lei aveva ripreso la sua passeggiata equina scalciando verso altre mire, e lui aveva fatto il classico tentativo di ravvicinamento, ho sbagliato, ho sbagliato, torna ti prego torna. Aveva anche minacciato di andare a lavorare in Russia, in caso di risposta negativa, figuriamoci, con la laurea ancora fresca gliel'ho cantata tutta, la disastrosa Campagna di Russia. E ci ridiamo ancora sopra, ogni tanto, perchè nel frattempo è diventato grande anche lui ed è uno dei miei Assicurati più caratteristici (Mister Saltello a parte).
Anche se io guardo tutto da fuori, credo che, come in tutti i rapporti che si rispettino tra gente civile, la ragione (ed in corrispondenza il torto) non stia mai solo ed esclusivamente da una parte sola. Ho ancora negli occhi una serie di video (che poi sono tutti anche su Youtube), per non parlare di testi di una certa importanza, in cui il Maestro veniva elogiato da fior di critici, fior di studiosi di gran peso, anche rappresentanti le "istituzioni". Visto che non mi risulta ci sia stata un'epidemia di pazzia dilagante, Zio Tony avrà pur fatto qualcosa per raffreddare tutto quell'entusiasmo! Per fortuna il suo nuovo, pingue curatore è esperto di qualunque cosa riguardi i turbamenti della mente umana, compresa l'ipnosi (finirà che di arte e pittura non si parlerà più, ma in quanto a Guida & Motivazione non c'è nessuno che ci batte), magari ce lo spiega lui.
Più o meno lo stesso tira-e-molla che gli vedo fare con i suoi giocattolini preferiti del Forum, Nunziante lo fa con le Gallerie; ho già raccontato come a me e mio marito piaccia tanto andar per Fiere, un po' tutt'intorno ove raggiungibile in giornata. Con vari passaggi annuali e la vista lunga si capisce che - soprattutto in questi tempi di magra - i quadri che girano sono sempre gli stessi, se li scambiano tra galleristi come facevamo noi con le figurine (ce l'ho, manca, ce l'ho, manca). Niente da dire, è mercato. Anche trovare l'Eccelso in Stands vari di varie parti d'Italia ci sta. Ma magari bisognerebbe fare attenzione a non dire cose poco carine, che ne so, dare una sorta di script alla presenza umana interagente, da tenere sottomano, perchè può capitare che io ti provochi apposta dicendo: "Accipicchia l'avete preso voi l'Eccelso, ma non era degli Orler?", e se tu (falso e cortese) non riesci neanche a capire dalla calata che io sono veneta e ti sto tendendo un tranello, finisce che ti sbilanci un po' troppo... Non dico altro in merito perchè non so quale sia farina del sacco di Nunziante e quale invece di questi galleristi, certo è che l'irriconoscenza è sempre una gran brutta bestia, dovunque alloggi.
Un'altra cosa che non mi piace di Nunziante: è evidente che ha messo su una factory. Non ci vedo niente di male, non sono una purista, io guardo al risultato, e poi se l'ha fatto Warhol, se lo fa Mark Kostabi, figuriamoci se non può farlo lui. Ma mi secca che non venga pubblicamente ammesso. Anche perchè è evidente che certi quadri non li ha dipinti lui, sono a dir poco orrendi, assolutamente diversi rispetto alla "mano" a cui ci aveva abituati. Il primo che mi viene in mente era passato da Orler, una cosa terrificante con una sorta di garage onirico con delle bolle che contenevano i suoi principali soggetti ("Garage dei sogni", o qualcosa del genere), e la scritta "Nunziante's" davanti, con un suv parcheggiato all'ingresso: roba da mercatino delle pulci in Transilvania. Piattissimo, senza una sfumatura di colore; un quadro che, probabilmente, potrebbe fare chiunque con l'ausilio del Kit del Piccolo Pittore, quello che si compra con i tubetti dentro ed il disegno già fatto, con gli spazi da riempire (a numero uguale corrisponde colore uguale).
Ma ne ho visti parecchi di osceni, come ho visto parecchi dei suoi veri capolavori, intendiamoci. Il fatto è che se uno è davvero Eccelso le schifezze le deve buttare, come ha raccontato Kostabi, che quando una tela dipinta dai suoi collaboratori non meritava la sua firma la faceva a pezzettini e la regalava ad Arman, che ci faceva le inclusioni (gran drittone Kostabi, guardare ed imparare come ci si fa conoscere in tutto il mondo con una struttura che funziona e l'idea giusta). E da sperare che la factory ci sia davvero, perchè se non è così la differenza diventa ancor più preoccupante, stile Dr. Jekyll e Mr. Hyde, cosa che costringe il Pindarico Olivi ad improbabili osservazioni sull'altezza della pittura, sull'immensità della capacità tecnica, perchè la mano che ha dipinto quello sfondo con la stradina e le nuvolette sembra non essere quasi la stessa che ha messo in risalto gli oggetti impolverati in primo piano, o il luminoso panno trasparente (eh già, SEMBRA-QUASI proprio di no).
Mi interrompo perchè c'è mio marito tutto preoccupato che mi becchi una denuncia, così finisce che ci portano via la casa, non solo i due Nunziante o gli otto Scuffi; ma lo faccio solo per tranquillizzare lui. Perchè visto che siamo in democrazia confido di poter esprimere liberamente un parere personale, tra l'altro mi sembra senza aver offeso nessuno (chissà a quanta gente sto antipatica io! Non per questo mi dispero più di tanto, se si tratta di lavoro ci sono tanti altri assicuratori, se si tratta di Trecose ci sono tanti altri blog. Siete tutti liberi; del mio, preferisco dedicare il mio tempo a chi mi vuole bene!). Se vogliamo dirla tutta, non sarei nemmeno onesta e "vera" se parlassi a ruota solo di chi mi piace. Debitamente provocata, posso anche punzecchiare, anche se in effetti gli elogi mi vengono decisamente meglio, nell'elogio c'è più poesia... Cosa dovrebbe dire allora Ringhia, la mia ispettrice mordace che ho stroncato palesemente? Cosa dovrebbe dire la mia Compagnia mandante, dopo che ho pubblicamente scritto che le Polizze Vita Miste sono una fregatura pazzesca, che i Fondi Pensione mah-forse-vediamo, e cose così?
Facciamo tutti gli Eccelsi, per una volta.

lunedì 3 settembre 2012

PaSsWoRdS!

“La semplicità è compagna della verità
come la modestia lo è del sapere”
Francesco De Sanctis

Questa estate ho subito un furto di password. O meglio, “probabilmente” è accaduto o “pare” sia accaduto, perché si sa, in queste cose tecnologiche dove tutto dipende da intelligenze artificiali (cioè da sistemi che si presume debbano essere programmabili, programmati ed infallibili perché privi di distrazione, di emotività, di pensieri propri come capita a volte agli esseri umani, sempre più di rado a dire il vero, ma a volte ancora capita, per lo meno a quelli che sono ancora – davvero – “umani”) in realtà di certezze ce ne sono ben poche. Oh mamma, quanto amo la carta e la penna, soprattutto quando vivo certe esperienze!
Me ne sono accorta, nonostante il mio livello di conoscenza del settore sia pari a quello di uno scimpanzè da laboratorio (no, anzi, forse di uno scimpanzè allo stato brado, quello da laboratorio mi fregherebbe ridacchiando, e dando di gomito all’orango in camice bianco), perché vedevo che alcune mail arrivate nella mia casella risultavano lette, mentre io ero più che certa di non averlo fatto. Nonostante la demenza senile in agguato, non credo aprirei nemmeno sotto l'effetto di droghe mail che abbiano come oggetto “Click here to enlarge your penis”, come anche mai fornirei i dati della mia Postepay in risposta ad una mail dove, su quattro righe, ci sono ben sette errori di italiano, anche se devo ammettere che il logo delle Poste lo sanno riprodurre bene, questi burloni.
Dopo una sommaria indagine tra amici e parenti, sono stata tranquillizzata dal fatto che molti di loro che utilizzano caselle del vecchio portale Infostrada (cioè Inwind o Libero per intenderci) hanno avuto lo stesso problema, e ridevano dei miei timori. Non che io abbia niente da nascondere per carità, le mie mail sono tutte leggibili, non sono solita scrivere sconcezze o trafugare segreti industriali, e comunque se mai lo facessi credo andrei in cerca di un sistema più sicuro; anche le mail più ricche di tenerezza scritte agli amici, per quanto mi secchi l’idea che possa leggerle un Ladro di Password perché sono pur sempre pensieri intimi, tutto sommato credo sia più probabile provochino nell’Ignoto Ladro qualche lacrima di commozione che la forzatura del mio Conto Corrente bancario. Magari capisce che sono una romanticona totalmente trasparente, gli faccio un po’ pena e va a far danni nelle caselle dei criminali veri.
In realtà quello che mi disturba non è che qualcuno possa leggere le mie mail, ricevute o inviate, ma piuttosto che usi la mia casella per mandarne in giro. Mi disturba proprio emotivamente, al di là del fatto che stiamo parlando di cose illegali, che quindi non vanno bene a prescindere. Magari il tal Collega, quello che mi tira sarde (per i non veneti: ci prova, più o meno spudoratamente) tutte le volte che mi vede, se riceve una mia mail con scritto “Sì, corri da me, ti aspetto vogliosa”, considerando che ha l’intelligenza e l’acume di un bambino di sei anni, sarebbe capace di crederci, e sai che imbarazzo. Ma insomma, te l’insegnano in qualunque corso di Tecniche di Vendita anche dei più infimi, anche quelli per corrispondenza, anche quelli stile anni Ottanta che credevano nelle paroline magiche (il famoso “Progetto Personalizzato per Lei e la Sua Famiglia”! Ah, beh, se è un Progetto Personalizzato per Me e la Mia Famiglia come posso rifiutare, firmo immediatamente…. certo, su Marte, probabilmente): le famigerate “Tecniche di Superamento delle Obiezioni”. Non ho tempo, non ho soldi, non mi interessa, eccetera eccetera: e tu gliele smonti una per una, fino alla TERZA. Ogni manuale che si rispetti (ed anche un po’ di buonsenso, lo dice una che solitamente i manuali li bruciava arrivata a leggere pagina quattro, compreso il risvolto di copertina) insegna che SE il potenziale Cliente continua a fare obiezioni dopo che gliene hai smontate elegantemente tre, forse diciamo FORSE sta solo cercando – anche lui molto elegantemente – di dirti “no-grazie-se-ne-vada-da-casa-mia” in un modo più gentile rispetto a spingerti giù per le scale.
Regola di vendita e anche regola di vita, quindi: insistere va bene, provare a forzare un pochino la mano va bene, ma dopo il terzo due-di-picche basta, finiamola lì, diventa imbarazzante per tutti. Certo che se poi questo tizio riceve una mail dal mio indirizzo con scritto che mi sento vogliosa le cose cambiano, di certo non penserebbe mai che è uno scherzo di chissà chi che mi è entrato nel pc, anzi, probabilmente sarebbe compiaciuto (“vedi che alla fine ci cascano tutte”) e magari andrebbe a lavarsi, sempre se voci di terzi a conoscenza delle sarde gli hanno riferito che a me, tendenzialmente, piacciono puliti (un tantino profumati ed eleganti, con discrezione).
Fortunatamente chiunque mi conosce anche poco sa che io certi messaggi più o meno subliminali non li mando, preferisco occhi negli occhi, mani intrecciate, e parlarsi a voce, come si usava una volta, prima che arrivassero mail e sms a rovinare tutta la poesia delle trepide attese, all’inizio di una storia, quando non addirittura a decretarne la fine. Essere scaricati via sms è da clinica psichiatrica.
Comunque, i miei amici iper-tecnologici mi hanno fatto notare che nessun Ladro di Password degno di tale definizione (e poco meno che imbecille, aggiungo io a questo punto) leggerebbe mail altrui lasciandole lì come “lette”: quanto meno le rimarcherebbe come “da leggere” proprio per evitare di essere scoperto. Molto probabilmente si tratta di software creati apposta per scandagliare il web a caccia di dati personali o simili, che incrociano i dati rilasciati per la registrazione ai vari siti e provano le passwords più intuitive. Insomma, non corro il pericolo che qualcuno bussi alla mia porta sbavando. Basta cambiare la password, e sei a posto.
Ma per me a questo punto sorge un nuovo problema, perché io sono una di quelle cinque persone in Italia che usa come password la propria data di nascita, oppure quella di mio marito, o al limite negli slanci di inventiva la targa della macchina; insomma, su questa cosa ho vinto più volte il titolo di “La più cretina del Web”, disputandomelo a turno con gli altri quattro. Ma dai, come si fa a tenere a mente decine e decine di passwords astrusissime? I siti ti consigliano (quando non ti obbligano): almeno otto campi, quattro lettere e quattro cifre, alternare maiuscole e minuscole, usare i caratteri speciali (punto di domanda, punto esclamativo eccetera), mai date e nomi facilmente riconducibili a te ed una marea di altri gentili accorgimenti. Ad esempio, una cosa tipo: Gk89TYdv3N2?Z.
E poi mai la stessa password per i tuoi molteplici utilizzi. E cambiarle spesso, e non puoi riutilizzare una di quelle che hai usato le tre o cinque volte precedenti.  Ma, miei cari, in preda allo sconforto io ho provato a contarle, le mie attuali utenze con password. Solo per l’Agenzia sono cinque (l’accesso all’Intranet aziendale, la mail aziendale, e i tre programmi operativi per il resto della roba che fa parte del nostro burocraticissimo lavoro), poi c’è la Banca (che ne ha due in sequenza, più il simpatico oggettino a forma di antistress che te ne crea una terza al momento, e devi anche digitare in fretta altrimenti ti tiene in muso), il Telepass, Trenitalia, Carte di Credito in numero variabile, c’è E-bay, il gestore telefonico mobile, e Telecom Impresa Semplice per le bollette dell’ufficio (“Semplice” un corno! Con loro mi sono arresa, avevo anche optato per l’eliminazione della bolletta cartacea – rispetta l’ambiente! – ed ho dovuto chiedere che me la rimandassero perché vogliono le passwords più complicate dell’Universo Conosciuto), due caselle mail personali (quella classica pubblica con il Nomecognome, e quella privata per la me più difficile da raggiungere, per le poesie ed il sentimento, che fino a quando il mondo continuerà ad essere popolato da cattivo gusto e da persone con la pugnalata facile sarà nota sempre a meno gente), c’è l’account Google per gestire il blog, c’è il sito del Sindacato Agenti, il sito del mio Gruppo Agenti, la mail del Gruppo Agenti. C’è la password per il Parental Control di Internet, giusto per evitare che ogni volta che devo mettere il naso fuori dall’ufficio per andare da Clienti o per i fatti miei le mie impiegate si attacchino a Facebook come cozze sullo scoglio per delle ore (per loro sembra sia impossibile farne a meno, e parliamo di gente matura, che ha passato da un po’ i tredici anni… Eppure niente da fare: dire “Non usate Internet per i comodi vostri in orario d’ufficio” è come un proverbio pronunciato in swahili).
Ci sono l’Agenzia delle Entrate, l’INAIL, l’INPS (quella dell’INPS è la più allucinante, una stringa di 16 caratteri casuali di cui otto li hai subito e otto ti arrivano via posta, e farebbe un po' sorridere la cosa, visto che stiamo parlando di un sito che ti dice l'importo aggiornato della tua futura pensione, ma si sa, anche ai Ladri di Passwords fa bene sghignazzare delle disgrazie altrui, ogni tanto). Ci sono i siti dei miei interessi personali, come ArsValue ad esempio, che in teoria mi dovrebbe avvisare per tempo se in qualche asta passa una Sfera di Gianfranco Meggiato a prezzi umani, ma a tutt’oggi mi ha lasciato a bocca asciutta (o ridono della mia password anche lì). Siamo già oltre le venticinque, e parlo di roba che consulto giornalmente o settimanalmente; figuriamoci quante me ne sto dimenticando di quelle che ti servono solo un paio di volte l’anno tipo per le prenotazioni dei voli o degli alberghi.
E’ scientificamente noto che una persona normale utilizza solamente il 10-15% delle capacità proprio cervello (pare che Albert Einstein arrivasse al 21%); di conseguenza, posto di voler occupare questa parte per nozioni piacevoli e di proprio gradimento, non è fisicamente preparata per immagazzinarci anche tutta questa mole di dati: quindi o mette sempre una data di nascita (dritta o a rovescio) o finisce che ci scrive un bell’elenco nella propria rubrica cartacea, sotto “P” di password. Così poi arriva il Ladro Vero, quello che vuole i soldi o al limite i quadri, trova la lista, la vende al Ladro di Password e sono contenti in due senza neanche fare fatica!
Ricordo ancora sorridendo un episodio di anni fa: mi chiama un carissimo Collega che ha l’Agenzia in centro a Jesolo perché aveva un blocco in uno degli innumerevoli nostri farraginosi programmi aziendali, e non cavava un ragno dal buco davanti ad un suo Cliente sempre più infastidito. Io gli dico “Te lo consulto io da qua, dammi la tua utenza e la tua password”, e lui mi fa: “Spiaggia”. Grandioso! Sicuramente l’alternava con “Bagnino1” e “Il-Pedalò” (tutte di otto campi). Mi ha dato davvero un’idea, se tanto mi dà tanto per un po’ la mia password è stata “Traffico”, ma solo perché “Coda_in_tangenziale” e “Mancanza_cronica_di_parcheggio” non ci stavano.
Oggi quindi voglio gridare un Elogio alla Semplicità, perché mi sento dentro che detesto profondamente quando la vita ci crea inutili complicazioni. Voglio essere semplice! Voglio eliminare qualunque possibile segreto, voglio l’assoluta trasparenza!
Ecco un altro motivo per cui adoro mio marito, che arrivato alla veneranda età di Dieci-Lustri-Dieci (portati splendidamente, peraltro) non solo non sa usare un computer, addirittura non vuole neanche imparare come si accende! Lui SA che non gli serve. Deve parlare con qualcuno: chiama o ci va, distanza permettendo. E chiama con un telefono che ha due funzioni: fa le telefonate e manda sms. E basta, anzi no, ha il bluetooth, quello l’ha cercato per evitare di schiantarsi in macchina, ma niente altro, neanche la più schifosa fotocamera. E’ limpido, lui, le seghe mentali di quelli matti per il computer non sa neanche dove stiano di casa. Una mail ogni mai me la fa scrivere da una delle mie caselle, sempre se serve, ma si contano davvero in un anno su tre dita, e il più delle volte sono casi di delicatezza, cioè per evitare di disturbare col telefono. Non ha un Conto bancario on-line. Non ha alcun Account. Non sa neanche cos’è un ID. E sta benissimo, perché può davvero dedicare ogni suo pensiero alla vita, al brivido che ti dà il “guardare”, il “parlare”, il “comunicare”, l’”ascoltare”, il “toccare”. E’ un dritto, ci è arrivato prima di tutti. Infatti me lo sono sposato apposta.

“L’uomo è un organismo ultracomplicato.
Se è destinato all’estinzione, scomparirà per mancanza di semplicità”
Ezra Pound