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lunedì 27 maggio 2013

Io speriamo che me la cavo

In ufficio da me siamo tutti cabarettisti.
Sarà per quello che, tutto sommato, non ci annoiamo mai, tendiamo a vedere il lato divertente di ogni frase, e ridiamo spesso, a costo di passare per dementi. Io poi, considerando che passo lì dentro circa dodici ore al giorno, a volte filate senza alcuna interruzione, se non prendessi un po' tutto in ridere finirei per tagliarmi le vene per lungo una sera sì e una no. Ultimamente ho ripreso a ridere parecchio, e la cosa è alquanto strana visto che potenzialmente siamo a rischio chiusura; mio marito ironizza sul fatto che è come il classico miglioramento prima della morte, come si dice ai malati. Chi lo sa, forse ha ragione lui. Io so solo che qualcosa nella mia vita ha ripreso a girare nel modo giusto, e mi dà una serenità di fondo, un ottimismo anche un po' fuori luogo visti i tempi lugubri, ma fondamentale: insomma, sono felice. E questo alimenta il cabaret.
Nell'ultimo mese una fonte inesauribile di comicità ci viene dai Clienti che stiamo perdendo perchè il mio ex-Subagente (nonché ex-amico ed ex-fratello) se li porta alla sua attuale Mandante. E sono molti, nel senso che lui non si sta limitando ai nomi ovvi: i suoi parenti, i suoi amici, i Clienti che aveva - nel tempo - procacciato lui. Su questi io non avrei nulla da ridire, anzi, a tutti questi io neanche mando gli avvisi di scadenza, perchè è normale che lo seguano. Mica sono come i miei, di parenti, che ritengono quasi un affronto assicurarsi da me, piuttosto vanno in cerca col lumicino della più minuscola Compagnia lussemburghese - non ho ancora capito perchè, dopo oltre vent'anni che faccio questo mestiere, e non è mancanza di fiducia, visto che i consigli e le dritte me li chiedono, e li ascoltano pure. E' proprio un qualcosa di inconscio, forse legato al guadagno (non sia mai che mi arrivi un Euro da un parente!), a parte mio padre, ovviamente, che è un uomo spiccio; con lui, illo tempore, sono arrivata alle minacce fisiche e mi sono sentita rispondere che non gradiva cambiare assicuratore perchè al Lloyd Adriatico le impiegate erano tutte strafighe in minigonna (vero!).
Tornando a noi, il mio ex-Subagente/amico/fratello non si limita ad allettare il proprio padre, o zio, o cugino, con impiegate con o senza minigonna. Sta visitando praticamente tutti i Clienti dell'Agenzia, e può farlo perchè io mi fidavo di lui e gli ho permesso, nel tempo, di conoscerli, di contattarli, e di fotocopiarsi tutti i fascicoli (quest’ultimo aspetto, in effetti, se l'avessi saputo non gliel'avrei permesso, ma siamo sempre lì: fa parte del concetto di "fiducia" il dare per scontato che qualcuno FACCIA o NON FACCIA qualcosa). E dal momento che di questi tempi non c'è un granchè da fare "a nuovo", come si dice nel gergo nostro, visto che la gente non ha più un centesimo e sono più le attività che chiudono di quelle che aprono, io e il nuovo collaboratore/fotografo abbiamo un sacco di tempo per chiacchierare con questi Clienti, per cercare di capire il perchè hanno deciso di lasciarci, dopo molti, moltissimi anni di reciproche soddisfazioni (questo perchè io, i sinistri, li pago).
Cominciamo a ridere la mattina presto, e alla sera siamo distesi per terra con le mani sulla pancia, stiamo valutando l'idea di scrivere un libro, e soprattutto abbiamo capito la vera e profonda motivazione che ha spinto i nostri Legislatori ad abolire il cosiddetto "tacito rinnovo del contratto" per la RC Auto (tradotto in parole povere: non c'è più bisogno di mandare la disdetta, nè trenta, nè quindici, nè un giorno prima). Non è per favorire la movimentazione del mercato, macchè, e nemmeno per dare nuove possibilità di risparmio alle famiglie strozzate dalla crisi; del resto, quello che penso io in merito a questa norma idiota l'ho già scritto in Gennaio nel post "Vero/falso", che sarebbe carino rileggere ogni tanto (mi era anche venuto particolarmente bene).
La verità è che hanno cercato - e a questo punto li capisco - di evitare che padri di famiglia cinquantenni dalle tempie imbiancate, o stimati professionisti, o titolari di rinomate aziende, si arrampicassero sugli specchi per cercare le scuse più strampalate, perdendo ogni briciolo di dignità, il che è uno spettacolo davvero penoso a cui assistere. E io, che sono donna (ebbene sì, in fondo in fondo lo sono) e quindi per DNA un po' stronza, ci godo pure a dare l'imbeccata per vedere cosa mi tirano fuori pur di non ammettere la pura verità: che non lo sanno.
L'hanno fatto per voi, insomma. E quindi, quando anche voi che mi leggete deciderete, per le motivazioni più disparate, di cambiare assicuratore, e vi verrà chiesto come mai, cercate di NON usare una delle frasi sottostanti perchè potreste ritrovarvi in uno dei capitoli del mio futuro libro sulle scuse più ridicole (con tanti ringraziamenti però, perchè ridere fa bene alla vita).
- Mi fa meno
Questa a prima vista sembra buona. E' evidente che la motivazione del risparmio è forte. Ma, attenzione! Io non mi accontento di queste tre paroline e tendo a scavare un po' più a fondo; mi fermo solo se mi rendo conto che le tre paroline rappresentano il riassunto di questa specifica frase: "Ho analizzato attentamente ogni garanzia che mi ha proposto, ho controllato tutte le condizioni, le franchigie, le rivalse, ho riscontrato un congruo decremento di premio a parità di condizioni, ed ho quindi deciso con cognizione di causa di cambiare". Cioè non mi fermo mai. Anche perchè solitamente la risposta alla mia domanda "Ti fa meno CON COSA?" spazia da "In che senso?", a "Non lo so", al completo silenzio corredato da caduta del labbro inferiore, neanche avessi preteso di sapere i nomi di tutti i satelliti di Giove (in ordine di grandezza). Dimmi che ti sta simpatico e sono più contenta, del resto anche a me stava simpatico prima che mi piantasse un coltello in piena schiena. Direi che gli ho voluto anche un gran bene, fino a quel momento lì. Ma cerca di capire che se tu hai la Polizza dell'auto con dentro la kasko, che notoriamente costa una follia, e vai a firmare un contratto con la RCA nuda e cruda, non è che spendi meno perchè io ti frego: ti freghi da solo. Idem per la casa: Incendio è una cosa, All Risks è un'altra. Per non parlare poi se la mia domanda è "Quanto meno" e tu mi rispondi "Dodici Euro" (su ottocento, magari, non su trenta). Allora non sei degno delle mie premure, soprattutto se parliamo di Polizze che necessitano di un paio di Raccomandate di disdetta, per un totale di otto Euro e sessanta. Alla faccia del congruo.
- E' tanto simpatico
Va bene, l'ho detto io prima "dimmi che ti sta simpatico", ma era tanto per dire. Ti prego, dimmi che avete parlato anche di assicurazioni prima di firmare. Ti prego, dimmi che ti sei quanto meno sincerato che avesse in mano roba con un marchio sopra. Perchè, sai, quando dovrà pagarti i sinistri scoprirai che non è che ti danno più soldi perchè sa raccontare bene le barzellette.
- Me l'ha detto lui che voi siete più cari
E' l'opzione numero due del "mi fa meno", anche se qui siamo un pochino oltre, diamo almeno per scontato che le condizioni contrattuali siano le stesse. Noto tuttavia con piacere che non c'è solo la mia mamma che chiede al fruttivendolo del mercato se le sue pere sono buone. A due-tre Clienti abbiamo risposto spudoratamente "e cosa pensavi che ti dicesse, scusa" ma senza particolari risultati, quindi ora mi aspetto che - come la mia mamma al mercato - prima o poi notino che le pere non sono tutte buone, e vadano lì incazzatissimi a pretendere di tornare indietro. 
La Variante di Valico a questa cosa del "siete più cari" è ha detto che mi fa LO SCONTO, ma dal momento che non viene da tutti presumo sia riservata esclusivamente ad una sorta di casta di eletti, probabilmente ai Clienti telespettatori di Telemarket. Non voglio ripetermi più di tanto sull'argomento "sconto" (in generale e assicurativo in particolare), lemma che gode di un mio cordiale astio non foss'altro perchè totalmente privo di significato pratico, per cui rimando chi ha voglia di un saltello nel passato prossimo ai miei precedenti post "Polizze in saldo" e "Venghino signori venghino" (rispettivamente Febbraio e Marzo 2012).
- Abitava vicino a casa mia, è più comodo
E' un'ottima motivazione, e tra l'altro denota che sei quanto meno in grado di coniugare correttamente i verbi. "Abitava" è indicativo imperfetto ed appartiene al mondo del passato, infatti qualche anno fa il giovanotto si è sposato ed è andato ad abitare a settanta chilometri da casa tua, tant'è che hai sempre pagato con bonifico.
- Ha tre bambini, diamogli una mano
Qui entriamo nel sociale. E' come quando si deve giustificare chi non paga più il mutuo o l'affitto e va in Comune a frignare con l’I-Phone nuovo di stecca in tasca. In Italia parli dei bambini ed è permessa qualsiasi nefandezza. Diritti e difesa ad oltranza di bambini, donne ed anziani: se sei un maschio adulto ti conviene guardarti le spalle, perché se ti accoltellano nel parcheggio va a finire che è colpa tua, la prossima volta vedi di non sbagliare strada. I bambini sono solo dei piccoli adulti, perchè dovrebbe fare differenza? E poi mica gliel'ha ordinato il dottore di farne tre, è una sua scelta, spiegami perchè devo mantenerglieli io. Tra l'altro, anche le mie impiegate hanno bambini, perchè non vuoi dare una mano a loro prima che io sia costretta a metterle in strada? Insomma, mai tirare fuori la solfa dei bambini davanti a chi non ha potuto averne: rischiate il linciaggio.
- E' uno sportivo
Basta metterla sul personale! Prima i bambini, adesso lo sport. Io non pratico sport, anzi, ho sempre odiato fare esercizio fisico. Odio sudare. Il Colonnello lo sapeva, infatti alle elementari mi ha fregato: mi ha cacciato in piscina, con un maestro cattivissimo, per confondere il sudore. Non solo quello in realtà: le ore di “ginnastica dolce” in palestra insieme a tutti i bambini del viale sono ancora un mio incubo ricorrente, una volta ho anche fatto a botte con un maschietto negli spogliatoi (chissà se l’ho mai raccontato al Colonnello). Lui diceva che gli avevo fregato le scarpe, povero idiota, solo perché all’epoca erano tutte identiche: le Superga blu scuro con la punta tonda di gomma bianca, e i lacci bianchi lunghi quattro metri che se non facevi una dozzina di doppi nodi uno sull’altro ci inciampavi. La verità è che quel bambino non sapeva fare i nodi, e andava in cerca di scarpe già annodate, prendeva sberle da tutti.
Comunque io amo lo sport, se lo praticano gli altri. Adoro il tennis, per non parlare della Vecchia Signora, e un che di motori che non guasta. E’ solo che non mi vedrete mai correre nel campo sportivo alle due di pomeriggio del ventuno di Luglio. Perchè non parliamo di assicurazioni? 
- Si chiama come mio nipote
Ve lo giuro su quello che volete, è vera. L'hanno detta a me personalmente. E devo anche aver fatto un'espressione strana, nonostante la ben nota abitudine degli assicuratori a non muovere un muscolo facciale finchè abbiamo il Cliente davanti (solitamente iniziamo a sghignazzare quando siete usciti), perchè il gentile signore in questione mi ha sciorinato mezzo albero genealogico per confermarmi che non mi stava prendendo in giro. Mi è venuto in mente che c'è una pasticceria a Menaggio, un posto sul Lago di Como vicino a dove passavo le estati da bambina (la famosa zia con il laboratorio fotografico, per chi ha letto tutti i miei post fin dal 2011...), i cui proprietari fanno di cognome Manzoni, e hanno chiamato uno dei figli Alessandro. Adesso capisco perchè, sai l'incremento delle vendite. Non avevo mai valutato l'importanza del "si chiama come", devo assolutamente mettere un annuncio per cercare una "Manuela Arcuri", a meno che il mio Cliente non fosse intenerito dal lato affettivo della cosa. In tal caso dovrei pensare seriamente di aprire uno sportello a Chioggia, visto che è la città dell'omonimia per eccellenza.
- Piace tanto a mia moglie
Che devo dirti? Ti do una pacca sulla spalla, faccio prima. Ti abbraccerei anche, poverino. Ma sono tentata di chiederti di mettermelo per iscritto, voglio vedere se ti rendi conto della profondità della frase, visto che a voce ti esce che è una meraviglia. Tu stai qui a spaccarti la schiena a martellate nella tua officina fabbrile, e tua moglie fa la tua firma falsa su tutte le disdette. E dai segni delle leccate sulla busta, direi che quel giorno aveva su un gran bel rossetto.

domenica 26 maggio 2013

Parentesi

Con la scusa dei problemi di lavoro mi sto perdendo un sacco di cose interessanti.
Lavoro tanto, troppo, spesso per niente (nel senso che corro, parlo, corro, parlo e non concludo un tubo), e dal momento che sono schifosamente tedesca nel midollo - per carattere, per educazione, e perchè Il Colonnello ha davvero fatto nel tempo un ottimo lavoro - finisce sempre che tolgo tempo ai miei hobbies e alle mie passioni. Del resto le ore della giornata sono e restano ventiquattro.
Ed è sbagliatissimo, perchè a lungo si rischia l'arsura profonda, come la terra che si indurisce e si spacca e - a quel punto - perde la capacità di assorbire l'acqua e di rifiorire. Anche se piove, l'acqua scivola via.
Ieri ho detto no, perchè mi sono già persa un paio di Mostre con la mania del rimandare (questo fine settimana no, vediamo il prossimo come butta, e poi va a finire che chiudono) e oggi era l'ultimo giorno per De Nittis a Padova. Non voglio parlare di De Nittis o della Mostra in sè, poteva essere qualsiasi nome: l'importante è fermarsi a bere, ogni tanto. Non importa se c'è la lavatrice da metter su: qualcosa di pulito si trova. Non importa se sabato è ora di passare il parquet: a parte il fatto che quando io lo vedo "da passare", la maggior parte della gente a casa mia mangerebbe direttamente dal pavimento (io ho un concetto di pulizia fastidiosamente maniacale), non voglio avere la casa splendente e un'anima spenta. Idem con la roba da stirare.
Io e il fido palafreniere siamo entrati a Palazzo Zabarella a ridarci un po' di smalto, e ne siamo usciti con tre considerazioni, che ora condivido qui:
- Come accennavo prima, mai permettere alla vita di rubarci l'anima. Poi ognuno la viva a modo suo, magari c'è gente che ritrova se stessa inforcando la bici e pedalando per sei ore. Io combatto l'arsura con l'arte, l'ho capito da un bel pezzo: davanti ad un'opera d'arte io raggiungo un ossimoro indispensabile, perchè mi perdo e mi ritrovo allo stesso tempo. Palazzo Zabarella è una sede espositiva con i controfiocchi, sono davvero in gambissima a giocare con le luci e la penombra, la pittura ti viene incontro già sulla porta. Io l'ho capito col tempo, ci sono arrivata negli anni: mi toglie il fiato l'immensità della montagna, il profumo della campagna, l'orizzonte del mare. Mi fa piangere la musica (certa musica, ovvio). A livelli più basici, mi rallegra da morire fare shopping. Ma fermarsi davanti ad un quadro, fermarsi davvero, lasciandoselo scivolare dentro, con la sua luce, la sua storia, la sua unicità, e passare poi ad un altro, e ad un altro ancora, in una spirale infinita che unisce tutti i presenti, è l'unica cosa che mi fa dimenticare cosa c'è fuori della porta. Dopo una gita in montagna sogno di tornare a casa, a letto. Ascolto la musica e mi accorgo che ho fame. Invece dentro Palazzo Zabarella avrei piantato una branda. Non mi interessa più dormire, mangiare, parlare, camminare. Non mi ricordo neanche per quale Compagnia lavoro. Non c'è arsura, solo sorgente.
- Sono limitata, limitatissima. Mi piace interessarmi di ogni aspetto dell'arte contemporanea, dei nuovi linguaggi, tutto quello che volete, ma poi torno sempre là: alla pittura, alla pittura vera. Per questo adoro Scuffi, per questo venero Armodio, e mica solo loro comunque, ci sono tanti altri pittori-sorgente per me. Ma per carità, niente tubi al neon, niente sugo di pomodoro, niente stoffa, niente plastica. Posso trovarli gradevoli (a volte). Posso sforzarmi di capire, o anche - di alcuni - riuscire a comprendere, il messaggio che contengono. Ma nulla di tutto ciò sarà mai "sorgente" come la pittura. Rugiada per l'anima. E, nel mio essere coscientemente limitata, direi che questo Ottocento mi stordisce e mi appaga.
Capisco perfettamente che la storia continua, che si srotola come un tappeto lungo il suo infinito corridoio, che ad un certo punto ha cominciato a correre lungo nuovi binari. Io non ho alcuna intenzione - o men che meno pretesa - di farla fermare: sono io che mi fermo. Mi fermo e, nella mia ignoranza, mi ci immergo. Forse perchè (in senso letterario e "oltre") sono romantica, sono impressionista, sono malinconica. Forse perchè dovevo nascere cent'anni prima. Forse perchè è ovvio che ringrazio Dio per le scoperte scientifiche, il progresso, la medicina, le novità tecnologiche che azzerano qualunque distanza, e tutto ciò che può fare il mondo migliore, ma sotto sotto - potendo, per un giorno o un mese - vorrei provare un salto all'indietro: vestiti lunghi come lo scorrere del tempo, niente fretta, corteggiamenti galanti come si deve, viaggi verso Paesi ancora sconosciuti con in mano un libro di poesie, città immense non annerite dall'aria malata (e, possibilmente, essendo realisticamente ricca, altrimenti che gusto c'è).
- Chissà come mai (domanda retorica), da qualche anno quando vado per Mostre sono curiosamente attratta dai cartellini. Mi piace scoprire la proprietà delle opere. Mi piace immaginare tutte quelle immense e meravigliose "collezioni private". E finisco sempre per constatare che - salvo qualche raro, rarissimo caso - i capolavori sono dei Musei. La collezione privata ha l'opera piccola, carina, anche interessante per carità (lungi da me criticare, magari fosse mia!). Ma mai il capolavoro che toglie il fiato, quello con quel quid in più, quello della giornata giusta, quello diverso, enorme, meraviglioso, unico unico unico. Quello sta nel Museo, e gira il mondo come è giusto che sia, per raggiungere e ripulire più anime possibili. E' rinfrancante, perchè conferma quello che penso da collezionista: compro cose che mi piacciono, ma MAI pensando alla loro rivalutazione, al loro futuro economico. Le opere realmente fuori categoria restano destinate all'umanità intera.

mercoledì 22 maggio 2013

Oggi parla.../10

... Ralph Waldo Emerson:

"L'amico è la persona davanti alla quale posso pensare ad alta voce"













Lido di Jesolo (VE), Gennaio 1991

sabato 11 maggio 2013

Contrapposizioni

Questo post è dedicato a Michele, che lavora a dieci minuti dalla Fondazione Matalon (ma io non lo sapevo, mannaggia). A Michele, che con una mail ha salvato Trecose dall'autodistruzione.

Armodio.
Armodio.
Ancora e ancora e ancora Armodio.
Sono andata fino a Palermo, otto mesi fa, toccata-e-fuga in un giorno e mezzo, solo per avvicinarmi alle sue opere, cosa sarà mai Mestre/Milano/Mestre in un pomeriggio?
Armodio alla Fondazione Matalon, uno spazio espositivo di raffinata eleganza: luminoso, curato, piccola oasi di calma incastonata nel viavai di quella Milano centro che frastorna e scuote chi non è abituato al suo essere "troppo" di tutto. E si sposa molto bene con le sue pareti, Armodio: ti fa tirare il fiato, ti fa fermare il tempo, ti fa capire che sei arrivato, finalmente, nel posto giusto. Non correre: rallenta. Non soffocare: respira. Non vedere: osserva, gusta, assapora!
C'era qualcosa di vecchio (opere provenienti dall'ultima Biennale, grandi, solenni e taciturne nella loro eternità), qualcosa di nuovo (piccole magie nate quest'anno, intense, profonde, quasi intoccabili per la raggiunta perfezione), qualcosa di azzurro (uno sfondo terso, uno solo, ma riempiva dentro come un immenso cielo equatoriale); mancava qualcosa di prestato ed era davvero la celebrazione del matrimonio perfetto.
Per la terza volta in questo blog esce dal mio cuore l'emozione di aver rallentato, respirato, osservato, gustato, assaporato l'anima di Armodio. La prima dopo la Mostra di Palermo, con lo stupore della scoperta dell'eccellenza assoluta. La seconda dopo la visita al suo mondo, con il gioco della sua magia quotidiana. Ed ora una terza, mentre il suo cammino diventa rarefatto: sempre meno opere, mai bulimico, una tortura per chi vorrebbe cibarsene in abbondanza, ma proprio per questo unico in ogni suo velo di polvere, introvabile come una perla rara, saggio come le pagine dei suoi libri macchiati dal tempo.
Armodio che supera Armodio.
Armodio che tocca, ora, vette di pittura ieri impossibili anche solo da immaginare, elevando l'asticella verso l'estremo "oltre", come un velocista che abbatte puntualmente il suo stesso record, rasentando le leggi della fisica, in un susseguirsi di applausi e boati che nascono e già sono dimenticati, superati, oltrepassati.
Armodio che mette tutti d'accordo: ti abbandoni alla sua perfezione, e non sei più un collezionista, o un gallerista, o uno studioso, o un imprenditore, o un professore, o un impiegato, o un artigiano, o un uomo, o una donna, o un giovane, o un vecchio: sei parte di un qualcosa di più grande, sei parte di un unico organismo in contemplazione, sei parte di un tutto che tace, perchè non ci sono parole per descriverla che non siano già state usate, oppure suonino così banali, così incolori.
Armodio con le sue tavolette come piccole finestre che danno sull'infinito: ti ci affacci e dimentichi che hai lasciato l'ufficio nel caos. Che un incidente ha appena formato dieci chilometri di coda in autostrada. Che sei uscita dall'autostrada come si fa di norma in Veneto, dimenticandoti che adesso sei in Lombardia, e uscire dall'autostrada significa guidare imbottigliati a passo d'uomo fino a Milano, godendoti tutte le bellezze di Vimercate e dintorni, cantieri stradali compresi. Che alla fine ci hai messo quattro ore e un quarto per percorrere duecentoquaranta chilometri. Che tra poche ore dovrai rifare il percorso, a rovescio.
Armodio con le sue carte dai bordi irregolari e scuri come mappe di un tesoro misterioso, porose, avvolgenti, pervase da un fascino mai sfacciato: ti ci perdi dentro, alla ricerca di un particolare nascosto che sia solo tuo e di nessun altro, e dimentichi che ti sei messa per l'ennesima volta i tacchi troppo alti e prima o poi, inevitabilmente, sarai preda dei crampi. Che ti sentirai inadeguata e un po' impacciata rispetto a tutte le sventole milanesi, anche se mai abbandonerai il vessillo della sobrietà e dell'eleganza solo per mostrare qualche curva. Che ogni tuo briciolo di coscienza ti sussurrerà che quello non è il tuo mondo, e non lo sarà mai, perchè i sorrisi finti sono ogni volta per te come un pugno in pieno stomaco. Tu sei innamorata dell'arte, non del suo circo mediatico. Quello lo detesti, gossip compreso, perchè nelle nuvole il gossip non esiste. Le altezze di Armodio sono così vertiginose da poter ottenere le attenzioni solitamente riservate ai pittori dei secoli passati, astri luminosi della storia dell'arte italiana, visibili solo in Musei o Cattedrali (ormai patrimonio dell'intera umanità, o al limite di una nazione, mai solo di amici degli amici degli amici). Niente sorrisi a specchio, niente raccomandazioni, niente graduatorie di mondanità per i pittori defunti, solo il sudore degli studiosi ed i bisbigli di stupore degli spettatori nell'ombra. Lui, vivente umorista, attira stuoli di ammiratori d'elite, desiderosi ed in grado di ammassare agevolmente la sua perfezione a chili, a quintali, ignari nella loro voluttà di possesso che la perfezione va centellinata in grammi. E condivisa, perchè è in grado di migliorare il mondo, di sanare gli spiriti inquieti, di diffondere il profumo del bello.
Armodio che stringe mani importanti e arrossisce, perchè la perfezione è anche questa: saper restare semplici nella fama.
Armodio che stringe mani sconosciute e arrossisce, perchè la perfezione è anche questa: saper restare umili nella grandezza.
Armodio che, ancora una volta, mi apre gli occhi su una verità nuova, forse una favola antica da riscoprire.

martedì 7 maggio 2013

Sinonimi e contrari

Sostanzialmente, i collezionisti d’arte si dividono in due categorie: quelli intelligenti e quelli tonti. Quelli sagaci e quelli ottusi. Quelli furbi e quelli stupidi. Comunque la vogliamo girare con il vocabolario, io ricado decisamente nella seconda.
Il collezionista intelligente si informa da più galleristi di come tira il mercato, segue i risultati delle aste, mette in concorrenza più fornitori per reperire l’opera giusta del nome giusto, il che significa di grandi dimensioni e possibilmente pubblicata su due o tre importanti cataloghi istituzionali. Poi il più delle volte la chiude in qualche cassaforte ed intelligentemente attende, mentre i suoi nipoti si sfregano le mani, a loro volta in attesa che lui tiri le cuoia per poterla rivendere, dopo trent’anni, guadagnandoci un sacco.
Io sono una collezionista stupida: il mercato mi schifa, non seguo le aste (che, a parte rari casi di artisti morti da molti, moltissimi decenni, sospetto quasi tutte pilotate dal medesimo mercato che mi schifa), e compro solo quello che mi piace, innanzitutto. Ma proprio proprio come mi butta l’istinto, il che significa una cosa sola: non guarirò mai. Non imparerò mai. Non cambierò mai. A un quadro grande e pubblicato che NON mi piace preferirò sempre e comunque un quadro piccolo e mai visto in un libro, che mi trasmetta qualcosa.
A me i quadri parlano: alcuni sussurrano, altri cantano, i più smaliziati mi fanno l’occhiolino, e il mio metro di giudizio è quello, perché so che continueranno a farlo anche una volta portati a casa e appesi al muro (magari al muro del bagno, visto che non avendo più posto ho iniziato a forare anche le piastrelle vicino alla doccia).
Mi succede tutte le volte in cui assisto in diretta ad uno Speciale su Scuffi, ad esempio: entro negli Studi di Orler, e zac! C’è sempre un’opera che spicca su tutte, perché sa di vetro anziché di marmo, o perché racconta una fiaba con fate più buone delle altre, o perché profuma di vento (e solitamente è la prima che Dario Olivi consiglia, del resto la lunghezza d’onda dei patiti della pittura quella è, e quella resta).
Mi intristisce anche solo l’idea di prendere un’opera che ha saputo dirmi “Ehi, sono tua, portami via, insieme faremo follie”, e poi chiuderla in un caveau, per quanto dotato di impianto per la regolazione termica e il controllo dell’umidità. Non ho avuto figli, e quindi non avrò nipoti (nel senso di “nonna”); ho nipotini come “zia”, e li adoro tutti quanti (soprattutto quello mezzo toscano in arrivo, Leonardo con la mamma da Vinci), ma sono pragmatica come pochi: col cavolo che mi metto a fare investimenti per il loro futuro. Che ci pensino i loro genitori, oppure che si forgino autonomamente, come ho fatto io, cioè TUTTO da sola.
Da collezionista stupida, inoltre, io sono innamorata persa dei miei galleristi, vale a dire la famiglia Orler. E quindi compro quasi esclusivamente da loro, anche se sono tendenzialmente cari come la peste, ma non me ne frega niente.
E’ un po’ quello che dico io ai miei Assicurati quando non riesco a calare troppo il prezzo: guarda al servizio che ti do, guarda ai guanti bianchi con cui tratto ogni tua pratica, e pensa che quei cinquanta Euro in più me li dai per le mie premure. Con loro è lo stesso: forse pago un po’ di più qualche pezzo, ma mi godo un sacco di coccole, perché Orler vuol dire “famiglia”, e quando ci sei entrato ti fanno davvero sentire come tale.
Qualche corno gliel’ho fatto, lo ammetto, ma per acquistare nomi di cui loro fanno finta di ignorare l’esistenza, oppure per giocare alla Piccola Strozzina Veneta su Internet. Già, Internet, dove noi collezionisti stupidi facciamo un sacco di affaroni con piccole inutili opere che non varranno mai niente, perché chi ha per le mani Il Quadro Del Millennio figurati se lo mette su Ebay. Ma a me certi nomi meno pomposi dei Bonalumi anni Sessanta (piccole magie di Antonio Possenti, per esempio, o di Tonino Caputo, o qualche paesaggio terso e solitario di Lido Bettarini) fischiettano anche dalla rete.
Come tipico del collezionista stupido, io tenderei ogni tanto a voler cambiare i quadri. Che diamine, ho cambiato quattro case, sette automobili, un’infinità di vestiti firmati, giusto un paio di fidanzati ufficiali, ed altrettanti non ufficiali. Se mi stufo mi stufo. Tuttavia, a differenza del collezionista stupido stupido, io sono stupida una volta sola, e cioè mi rendo conto perfettamente che così facendo ci smeno una valanga di soldi: esattamente come succede con le automobili, in effetti, solo che lì nessuno trova mai da ridire.
Nel 2010 ho acquistato la mia Deltina per 32.000 Euro, e adesso ne vale 15.000: normale. Avessi avuto per le mani un quadro con la stessa forbice negativa in tre anni mi sarei presa della pazza da tutti. Il mio obiettivo è sempre una sorta di pareggio, o per lo meno il tentativo di non perderci troppo. Non ho mai preteso né mai pretenderò di guadagnarci: l’investimento VERO per me resta la piacevolezza, la bellezza, l’atmosfera sospesa senza tempo  che respiro nelle mie stanze quando chiudo fuori il mondo esterno. Perché è lì che vivo, non in una cassaforte, non in un caveau, non in una cassetta di sicurezza.
In questa cosa - faccio ammenda pubblicamente - ebbene sì ho peccato: mi sono rivolta a Cagnola (a Gnudi insomma, a Porcelli, a Orlando, insomma a LORO che hanno sostituito l’etichetta verde con le grandi orecchie e la proboscide con un’altra etichetta verde senza orecchie e proboscide ma che sostanzialmente è uguale a prima). Non potevo di certo tentare cambi con Giuseppe Orler: con lui anche solo sussurrare tra i denti la parola “rientro” equivale a nominare Satana, piuttosto mi tira dietro i quadri con sconti folli, oppure me li lascia portare a casa sapendo che glieli pagherò prima o poi, quando si riprenderà tutta l’Eurozona.
Eppure spezzo una lancia in favore di questa “nuova” realtà cagnolesca: tutti ne parlano come dei Terroristi del Male, ma qualcuno che facesse girare un po’ il mercato dedicato a noi collezionisti stupidi serviva. Restando nel paragone con il mondo dell’auto, ci sono i Concessionari Ferrari, i Concessionari Porsche, e tutte quelle marche stratosferiche che tu uomo della strada puoi solo sognarti di notte. Anche io mi sogno spesso seduta al volante di una Maserati Quattroporte, con deferenza. Insieme a questi ci sono i solidi per quanto anonimi Volkswagen & Co., o gli sfigati dei Concessionari tipo Gruppo Fiat (che di questi tempi chiudono un mese sì e uno no), o quelli con gli occhi a mandorla. E infine ci sono quegli strani depositi multimarca, figli di nessuno, dove trovi di tutto, dal catorcio con i sedili con i buchi all’occasionissima dell’utilitaria appartenuta alla nonna veneziana, che ha fatto 6.000 chilometri in quindici anni perché non sapeva come ingranare la terza e arrivata alla Zona Pili tornava indietro al Garage Tronchetto in lacrime. Qui ti rientrano qualunque cosa, ovviamente ti puoi scordare le quotazioni patinate del Quattroruote, ma è giusto così, del resto se hai fretta di vendere e non sai come, oppure non vuoi romperti le scatole più di tanto - tra annunci, gente estranea che ti viene in casa, sedicenti meccanici con la faccia da impiegati d’anagrafe e le mani immacolate che pretendono di “dare un’occhiata sotto al cofano” - è solo un problema tuo. Loro te lo risolvono, e tu li paghi per questo. Anche abbastanza, li paghi, del resto l’alternativa è la succitata fastidiosissima trafila.  
Sono carucci e tanto gentili, da Cagnola. Intanto rispondono subito, che è già una bella cosa (io NON SOPPORTO quei Siti Internet dove ti supplicano di rivolgerti a loro per valutazioni, stime, permute e quant’altro, anche e soprattutto di artisti da loro rappresentati, che poi quando li contatti via mail non si degnano nemmeno di risponderti, foss’anche per un no-grazie). In prima battuta la buttano giù dura – sono pur sempre a contatto con i collezionisti del tipo stupido, vuoi mai che vada – ma se uno fa intendere di conoscere un po’ lo stradario del mondo si ritorna immediatamente a stime più miti. E una provvigione di un terzo non mi pare sia da gridare allo scandalo, anzi, visto che tutto il lavoro sporco lo devono fare loro. Il contratto è limpido, la forma ed i tempi di pagamento anche.
Al di là della naturale antipatia che pagano per il retaggio della scritta verde, qualche ora di televisione dove piluccare notizie di nomi nuovi, o di opere nuove di nomi risaputi ci voleva. Fungono un po’ da mercatino delle pulci, e Dio solo sa quanto i galleristi veri li sfottano per questo, ma io resto della convinzione che non sono i tre Clientoni che spendono centomila Euro l’anno a tenere in piedi le Gallerie, quanto piuttosto quel fitto sottobosco di collezionisti costanti da due-tre-quattromila Euro, e avercene tanti, di quelli.
Insomma: stupida, sognatrice, innamorata della bellezza, e anche – soprattutto - senza alcuna presunzione di guadagnare qualcosa tramite l’arte (che del resto, a parte gli addetti ai lavori, come noto non ha MAI arricchito i propri contemporanei, parole evangeliche di un caro e saggio amico).
Cosa mi differenzia dal collezionista intelligente? Beh, intanto il fatto che io sono FELICE. Vado a vedere Musei e Mostre per riempirmi il cuore, non il portafoglio, e quindi non fa differenza se parliamo di Picasso o di Scuffi, di Dalì o di Antonio Pedretti. Ci vado con lo stesso spirito. Per non parlare di Armodio, che tra quelli ancora vivi è e resta una spanna sopra chiunque altro.
Inoltre, sono più che certa di dormire tranquilla: non ho nessuno che mi gufa sperando che muoia presto per ereditare chissà quale patrimonio.
E poi, io AMO i miei quadri. Amo le loro storie, le mani che li hanno creati, il loro profumo. Anche se sono “schifezzine”, come qualcuno (che compra i quadri e li lascia a deposito in giro) si è permesso di definire le mie quattro meravigliose carte di Licata tratte dai Quaderni di Viaggio, solo perché sono piccole e il Maestro ne ha dipinto una montagna e mezza. Non mi interessa. Io guardo l’opera e vedo solo l’opera: ora è ampio colore, pennellata dolce, poesia segreta, ora è solo tratto deciso, spezzato, dolore forse. In ogni caso non denaro. Non prospettive di rivalutazione per nipoti. Non cassette di sicurezza. Io ho sangue caldo, e mi piace sentirlo scorrere a fiumi.

lunedì 6 maggio 2013

Oggi parla.../9

... Confucio:

"L'amore eterno dura tre mesi"



Non so voi, ma io sono letteralmente impazzita quando ho scoperto questo aforisma. Non era solo un profondo conoscitore delle tradizioni, dell’etica, dei principii della giustizia, il buon vecchio Maestro Kong; a quanto pare era dotato anche di un sarcasmo niente male, in grado di dare svariati punti ad Oscar Wilde, nonostante il paio di millenni che li separano.
Io sono un pochino più magnanima di lui: posso concepirne anche sette, o otto, di mesi. Poi, inevitabilmente, l’eternità ammuffisce, se non si trasforma in quotidianità. Sa da rancido, e fa solo male. I grandi gesti plateali devono diventare piccoli, ma costanti. Le farfalle devono uscire dallo stomaco, e possibilmente restare a svolazzare in una casa vera, in cui si entri con un sorriso, e non con una chiave numerata. E’ la quotidianità che rende complici, noi fatti di carne e sangue, di cuore e mente; l’eternità la lascio volentieri ai sassi, alle rocce, alle acque del mare, alle nubi del cielo. Così belli da guardare, ma che non ti puoi portare dentro tanto quanto uno sguardo o un abbraccio. Oppure puoi, ma non con lo stesso calore.
Lo so io, e lo sapete anche voi, che come me sapete ancora soffrire per amore; intendo, noi quattro-cinque rimasti ancora VIVI.  

sabato 4 maggio 2013

Analisi

E' stato un Aprile strano, molto strano, un Aprile unico. Probabilmente irripetibile.
Erano ormai mesi che non passavo così tanto tempo senza scrivere, non necessariamente senza cose da dire: più semplicemente senza il desiderio di fermarle lì, di rileggerle, di condividerle. Cose mie, emozioni mie, io egoista nel trattenere tutto dentro, nello sperimentare quella non-condivisione che ti forgia l'ennesimo strato di corazza.
Poi, scivolando sull'onda della lettura di altri blog, sussurri quotidiani, in quel grande mare calmo che unisce gli spiriti sconosciuti sulla terra ma amici d'anima nel grande cielo delle emozioni, scopro che non sono la sola che si è fermata, anche se le motivazioni altrui sono diverse. E cerco di capire, di capirmi, di leggermi dentro fino in fondo per trovare un perchè a questo strano ed anomalo tirare il fiato, dopo un anno e mezzo di corsa folle in cui sono stata un treno lanciato sui binari che ha volato, fischiato, segnato, sperimentato, travolto e sconvolto. Sono sempre io eppure sono cambiata totalmente. E non è solo la vita in stand-by che ti congela, come dicevo a me stessa un paio di mesi fa; è ben oltre a ciò.
Sono giunta a questa conclusione: non riesco a scrivere quando l'emozione è esagerata. Poichè la scrittura è reale, è parte del mondo vero, è un mezzo per comunicare tra menti e tra cuori. Scrivo per emozioni e scrivo di emozioni, ma quando l'emozione trascende, io mi blocco. Come lo specchio elettromagnetico, che l'occhio umano non percepisce interamente, limitandosi alla sua porzione che, lasciandosi alle spalle la fredda scia dei termini scientifici (frequenze e nanometri), prende il nome fiabesco ed unico di "luce"; e solo la pelle resta a cogliere, scaldandosi ed arrossandosi, l'esistenza degli infrarossi e degli ultravioletti (la pelle, ancora lei, testimone in un fremito di tutto ciò che gli occhi non colgono).
Come l'altezza degli infrasuoni e degli ultrasuoni, che l'orecchio umano in natura non può percepire.
Il mio Aprile è stato un mese di soli picchi. Di profondità impensabili. Di vette insuperabili, raggiunte in un colpo.
Ho guardato negli occhi chi da anni consideravo più di un fratello, e ho udito la mia voce dire come in un fuori campo "Tu per me sei morto", svuotandomi d'un colpo di tutto il dolore, di tutta la tensione, di tutte le paure e gli strazi a cui, negli ultimi due mesi, avevo dato il permesso di imprigionarmi, e mentre il suo viso impallidiva io non provavo assolutamente niente. A parte, forse, un sottile e sadico sollievo. E questo è infrarosso, è infrasuono, esce dalle sensazioni permesse alla nostra carne, ai nostri sensi, al fluire del nostro sangue. Scende direttamente nella profondità degli oceani, forse distrugge, forse rigenera.
E nell'arco del medesimo Aprile, prima che potessi metabolizzare queste oscure sensazioni, tornare a vivere, a sorridere, a credere, a respirare, a urlare. Dalla profondità degli oceani all'aria rarefatta delle cime. Io come un sonar avvolto nella danza sfrenata degli ultrasuoni. Io consapevole di qualcosa di nuovo, di vero, tutto mio, perchè sono solo io contro al mondo, nella lotta per afferrare quello spicchio di felicità che nessuno regala, anche se in teoria ci spetta. Non comprendi se è piovuta dal cielo o se è il risultato di una battaglia, ma la avverti, senti la sua potenza e sai che non hai nessuna intenzione di lasciarla andare.
Ecco, dunque, perchè non ho scritto, per un po'. Perchè nelle ultime settimane gli hertz delle mie emozioni sono andati decisamente fuori scala, oltre la mia comprensione, togliendomi - quasi - la capacità di razionalizzare e raccontare, e per certo togliendomi il fiato. Ho capito che ci sono zone troppo scure o - al contrario - troppo luminose, fino alle lacrime, che devono restare mie perchè al di fuori di qualunque capacità di condivisione. O forse perchè, semplicemente, dentro una nuvola si sta meglio.