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domenica 13 aprile 2014

Bambini e Maestri

Ho un nuovo amico: si chiama Lorenzo, sta a Firenze, farà la Prima Comunione il prossimo 25 Maggio. Gli sono spuntati da poco i due incisivi grandi, perchè ha ancora le seghette sotto. Normale, visto che Lorenzo ha nove anni.
Lorenzo è, forse, ciò che mi ha più colpito ed emozionato tra tutti i batticuori della serata dedicata al Maestro Antonio Possenti, il sesto dei Tè da Franco Ristori.
Emozionato, forse, giusto un poco di più del conoscere il Maestro di persona, vederlo così fragile in quell'aspetto quasi elfico, da fiaba nordica, che si sposa perfettamente con tutti gli strani personaggi ed animaletti onirici che popolano i suoi lavori, che spuntano da sotto il letto, che ammiccano dalle finestre, che si arenano su spiagge lontane e scavano, oppure corrono, o spiccano il volo. L'ho osservato a lungo, messa un po' di sbieco, mentre firmava e dedicava litografie infagottato in un maglione multicolore con tanto di sciarpa, e ho trattenuto il fiato, nel timore di scoprire, improvvisamente, spuntare un'orecchia appuntita, o un rametto frondoso e verdissimo, o ancora un baluginare di metallo da quelli che potevano anche solo sembrare due bastoni, nel tentativo di celare la forgiatura di una qualche spada magica. Ho scrutato i suoi larghi sorrisi, sornioni ma sempre sereni, mentre concedeva parole di favole ai cento e passa adulti tornati bambini che facevano la fila, ordinatissimi, al suo cospetto. E mi sono anche sentita persa l'unica volta in cui, anch'io bambina nei cento, l'ho fissato un po' troppo sfrontatamente dritto negli occhi, scoprendoci due laghi profondissimi, di un azzurro terso, che nessun toscano mai potrà capire, a meno che non si lasci accompagnare quassù, fino ai piedi dei nostri ghiacciai dolomitici, dove l'azzurro spunta fuori dal bianco e ti avvolge dalla testa ai piedi, e non sa di freddo: sa di cristallo, sa di perfezione, sa di purezza, e di leggenda. Due laghi Fedaia al posto degli occhi, ha il Maestro Possenti, e li usa per parlare, quando la voce tramonta in un sussurro.          
Emozionato, forse, giusto un poco di più del silenzio che sorprendeva aleggiante, nonostante la presenza di così tante persone, stipate fino all'inverosimile. E qui urge una precisazione, perchè ormai comincio a capire che esistono davvero dei luoghi magici, dove l'adulto sceglie di tornare indietro nel tempo, nei quali possono accadere le cose più strane. La prima volta era stata allo Studio di Armodio a Piacenza (mi permetto di suggerire un saltino nel mio post "Tra realtà e incanto" del Novembre 2012), ma la Bottega di Franco Ristori non è da meno. E' piccola, ma infinita. Ci si sta dentro in tanti, perchè QUEL tipo di condivisione, evidentemente, moltiplica gli spazi, oltre che i cuori. Pannelli che scivolano silenziosi per portare alla luce piccole meraviglie, una dietro l'altra, dalla dimensione segreta che sta celata chissà dove e che pretende che non si facciano troppe domande: bisogna solo aspettare, crederci e gustare. E poi una processione di visi, di occhi spalancati, di sorrisi, di mani da stringere, e quando pensi che adesso si scoppia, adesso viene giù tutto, invece è proprio il momento in cui tutto si libera, e siamo ancora tutti qui, in attesa dell'ultima alchimia. Non era, a dirla bene, un vero e proprio silenzio: erano bisbigli d'ovatta, erano fruscii di neve, erano soffusi mormorii. Mai confusione, comunque. Mai disordine. Era come se tutti avvertissero all'unisono la presenza di questo Grande Vecchio Saggio, e ne rispettassero l'atmosfera, come in una sorta di rituale della natura più profonda, con gli alberi che aprono i rami e scostano le chiome al passaggio della divinità del bosco.
Emozionato, forse, giusto un poco di più di questi ultimissimi quadri, diversi dal solito Possenti, dal Possenti più commerciale, più multicolore e più facile da capire e ricordare. Tecniche miste sopraffine, in questi quarantadue pezzi Antonio Possenti ritorna al puro disegno, ritorna alla sua anima principale, a quel tratto di lapis da cui nasce tutto. Grande, grandissimo, immenso disegnatore il Maestro, e può permettersi quindi di scherzare con i suoi animaletti, i suoi insetti, le sue conchiglie, lasciandole in bianco e nero, perchè nati così e così già forti. Pochissimo colore, in alcuni casi solo macchie appena spruzzate nel centro, dove cade l'occhio (e ci vuole del tempo, per scoprire tutto ciò che lo circonda), oppure colature nell'ennesima burla, o solo lievi sottolineature di un contorno. O ancora, sfumature di un unico colore, mille gradazioni trasparenti di un unico blu, come il cavalluccio di Lorenzo. E poi, enorme nel suo angolo, quell'opera in cui il colore è totalmente assente, per lasciare spazio ad una complessità mai vista di figure di ogni genere, un brulicare continuo, un formicaio di vita che spunta, si infila, si accavalla sulla coperta in primo piano: non c'è un punto vuoto, solo  un eterno moltiplicarsi di tratti di grigio che riempie più di qualunque tavolozza.
Emozionato, forse, giusto un poco di più di quando l'uovo di Pasqua da quasi quattro chili che io e lo scudiero avevamo portato fin laggiù (ci vuole uno scudiero serio, per un uovo da quasi quattro chili) è stato posizionato nel mezzo, ed il Maestro l'ha saggiato con il suo bastone. Toc-toc, appena qualche colpetto, come un novello imbiancato Mosè in attesa che l'acqua sgorghi dalla nuda roccia in mezzo al deserto. Ma con quegli occhi che ridevano come fessure, è più probabile che si attendesse lo scoppio di un mare di farfalle. E poi, all'improvviso, ecco il bastone che mostra le sua vera natura di lama forgiata nel mistero, ed il fendente del piccolo elfo apre le danze del cioccolato per i cento e passa bambini, bambini per una sera.
Emozionato, forse, giusto un poco di più della dedica speciale che Antonio Possenti mi ha fatto sulla litografia-ricordo della serata. Va premesso che a Franco Ristori quel giorno è venuto un colpaccio di genio non da poco, sarà stato il sigaro, chi lo sa. Un pensierino, per tutti, il Maestro autoritratto mentre sorseggia il tè e ti scruta dentro con i suoi due Fedaia. Tante lito tutte uguali, in mano ai cento e passa bambini come cento e passa piccole pagelle di carta spessa e porosa, mentre fanno la coda fino alla cattedra del Maestro, che con la matita grossa, quella rossa da una parte e blu dall'altra (altrimenti, che Maestro sarebbe?), commenta, scherza, scrive nomi e dediche rendendo ogni lito diversa per sempre, e già spuntano le prime foto di quadri per ascoltarne la storia lontana. Un elfo mai stanco. Io non l'ho fatta, la coda. Me ne sono stata in disparte, a guardare di sbieco, aspettando. A me piace l'attesa, da matti. Sono brava ad attendere, qualunque cosa, avvenimento, o persona. E' la voluttà della pazienza; il tutto-e-subito spesso brucia, lascia solo cenere. Ciò che hai atteso pazientemente, invece, resta. Franco ha detto al Maestro Possenti che ero io quella dell'uovo, ed ecco che dalle mani del Maestro, in semplice biro, si è materializzato l'omino barbuto che gioca a fare l'angioletto pasquale, un uovo scoperchiato, un nido con un pulcino già troppo cresciuto ed affamato. Non sono stata pronta col cellulare, nè foto nè video, del resto quando io guardo e mi emoziono preferisco - appunto - guardare ed emozionarmi, piuttosto che pensare razionalmente a fissare le immagini su supporti elettronici. Peccato, da un lato. Ma dall'altro sta ben impresso nella mia testa quel ghirigoro che parte calmo e rotondo, che poi di colpo scarta, che sale su, e che prende forma: armonia ed equilibrio in tre linee allacciate fra loro, abbracciate, senza mai staccare la penna dal foglio. Quanto mi affascina chi sa disegnare! Quanto riesco ad isolarmi davvero, ed a ritornare sulle ginocchia della mia mamma e alle sue storie di gatti (per chi non ricordasse la mia mamma e le sue storie di gatti può essere utile una spolveratina al post "Una storia" che - curiosamente - segue proprio "Tra realtà e incanto")! Evidentemente ero così tanto isolata e felina che devo aver biascicato un po' troppo il mio nome, che sulla lito è diventato Franca. Ma non me ne importava un accidente, io volevo nuotare nel disegnetto, il nome era solo un accessorio, va bene anche Franca, sono quella della lito con l'uovo e mi basta (anche perchè l'elfo ad un certo punto potrebbe perdere la pazienza e punzecchiare). Per amor di precisione, ma solo grazie ai presenti che si erano mantenuti adulti, tra i quali l'inossidabile Leopoldo Paciscopi (un altro che ha tante storie da raccontare), la mia lito è ora dedicata a "Franca anzi Paola". Quindi da adesso in poi il mio nome sarà rigorosamente questo: segnatevelo, altrimenti nel caso mi chiamaste dall'altra parte della strada io non mi volterei, neanche sotto tortura.
Insomma, un sacco di batticuore, ma poi è arrivato Lorenzo, con le sue guanciotte e i suoi denti recenti. Lorenzo, con la sua mamma e il suo papà che lo avevano accompagnato affinchè si scegliesse un regalo per la Prima Confessione (per la Confessione, che aveva appena fatto, e non per la futura Comunione, come ha precisato tutto serio e convinto a mio marito, che in quanto a sacramenti non è molto ferrato ed ha avuto bisogno di un ripassino in diretta, proprio da lui). 
Non conosco la mamma di Lorenzo, non conosco il papà di Lorenzo. Con ogni probabilità non li incontrerò più. Ma hanno tutta la mia simpatia, perchè non hanno solo deciso di regalare un'opera d'arte ad un bambino di nove anni (come se fosse la cosa più naturale dell'universo), ma l'hanno portato a scegliersela DA SOLO. Vale a dire, quella che piaceva di più A LUI. E io ero lì, e certe esperienze non me le lascio scappare. 
Mi piace parlare con i bambini quando ne trovo di particolarmente svegli, e mi piace trattarli da grandi, nel senso di fare tante domande aperte per ascoltare le loro risposte. E' una cosa affascinante. Sono candidi, ma mica stupidi. Sono diretti, ma mica semplici. Così alla fine Lorenzo, che era incerto tra un soggetto piccolo che richiamava le ninfee di Monet, ed uno più grande con la spiaggia ed il cavallo a dondolo, alla fine ha scelto il cavallo. L'ha scelto perchè del quadro con le ninfee non gli andava più di tanto la parte sullo sfondo, una sorta di alberi con una strana forma che lui "non riusciva a capire", con colature lievi di marrone che "non ci stava tanto bene", mentre il cavallo era tutta una meraviglia di azzurri. No, non gli piaceva quello con le farfalle che gli avevo proposto come alternativa, perchè in realtà sembravano più api con ali da farfalla, o addirittura mosche, insomma erano nere e pelose, non sarebbero state bene in camera sua. No, non gli piaceva neanche quello con le farfalle non nere e non pelose (per dieci minuti io ho volutamente seguito i suoi ragionamenti, passando da un argomento al successivo mano a mano che si presentavano e portandolo per manina con me lungo l'arcobaleno del discorso, lui che parlava e io che ascoltavo), perchè una di quelle bestioline era appoggiata proprio dritta sulla testa pelata dell'omino, e gli avrebbe dato la sensazione di trovarsela sopra all'improvviso. Gli piaceva tanto quello con i pesci arancioni che spuntavano come un mazzo di fiori recisi da un vaso (quello piaceva parecchio anche a me, in effetti, era un pezzo davvero superlativo, per i richiami a tutti i simboli possentiani più classici, per le dimensioni non troppo raccolte ma nemmeno troppo disperse, per l'abbondanza di segni minuscoli in quell'unico colore centrale), ma c'è stato chi ha deciso più in fretta, e gliel'ha bollato di rosso sotto al naso, anzi sopra, nel caso di Lorenzo. Mi sono sentita in colpa, perchè l'avevo rallentato io solo per sentirlo aprirsi, solo per gustarmi la lezioncina di emozioni d'arte a livello nove. 
Poi è toccato a lui fare le domande, e a me dirgli come mi chiamavo (fin qui ero preparata), da dove venivo (la storia romanzata di come avevamo trascinato l'enorme uovo per duecentocinquanta chilometri non se l'è bevuta) e perchè ero lì. Solo un bambino può chiedere con disarmante normalità: "E tu perchè sei qui?" (del resto, io la Prima Confessione l'ho fatta da un pezzetto, questo si vede a occhio, quindi la scusa del regalo non reggeva). Ma non gli è piaciuta la risposta che ero lì per i quadri, per il Maestro Possenti, perchè mi piace la pittura. Ha indagato se per caso ero lì "per dare una mano", anche se, in mano, non avevo i listini, e me ne stavo in un angolino a bearmi di tanta umanità presente. Come fanno i bambini a capire certe cose? Che tipo di intuito abbiamo noi cuccioli di homo sapiens (quando debitamente stimolati da genitori intelligenti e lungimiranti) per leggere cosa c'è dietro ad un sorriso, che poi si perde quando non siamo più cuccioli, e la società ci piomba addosso con tutti i suoi stravolgenti condizionamenti esterni? Lorenzo dice che si vedeva che ero lì perchè lì avevo degli amici speciali. Il terzo grado non l'ha fatto solo a me, comunque, ma anche a Giovanni Faccenda, per vedere se era davvero preparato su Van Gogh (che lui ha appena studiato a scuola e quindi ce l'ha fresco). E un pochino anche al Maestro Possenti, che in dodici secondi gli ha svirgolato dietro al cavalluccio ceruleo il centunesimo autoritratto, e si è anche beccato un "sei bravo a disegnare, però". Poi, quando è andato via con mamma e papà, è venuto a salutarmi (io ero in bagno, ha anche dovuto aspettare che uscissi). Mi ha dato la mano e due baci sulle guance. Ha detto che era stato un piacere parlare con me. Mi veniva da piangere. 
Lunga vita a Lorenzo.

2 commenti:

  1. Scrivo un commento (per la terza volta), poi mi perdo nell'inviarlo, se le sono arrivati anche gli altri li ignori alla fine non sono così importanti..Ogni volta che riscrivo sintetizzo il contenuto degli altri precedenti anche perchè scrivere d'arte in contesti come questo non mi mette a mio agio(preferisco scrivere privatamente senza dubbio) nei precedenti interventi dicevo come sia per me difficile persino immaginare atmosfere quale quella da lei descritta nell'occasione della mostra di Possenti,(arte "manierista" di cervello più che di passione) tanto l'arte per me non sia occasione di comunicazione "gioiosa", ma è un concetto ,codesto troppo difficile da spiegare in due parole, sono comunque grato a lei che di quell'atmosfera me ne ha fatto parte e auspico che ci siano tanti piccoli amici che vengano introdotti dai loro genitori nelle vicissitudini dell'arte e degli artisti, benchè io sia molto pessimista in proposito dati i tempi oscuri che viviamo..Avevo inoltre visto un paio di giorni prima una televendita da Orler e meditavo sui rischi del presentare la pittura in una maniera che connota sempre e solo la concezione borghese (non in senso dispregiativo, per carità) del "possesso"e dell'esibizione, senza tener conto del vissuto dell'artista e dell'idea della pittura dei vari Maestri, così finisce per risultare inconcepibile presentare ad esempio dei Vedova in cornici neoclassiche che è un disprezzo inconsapevole per quanto l'artista pensava sul senso della pittura e dell'arte in genere. Questo concetto mette in evidenza il vero pericolo che l'arte corre in tempo come questi, il rischio cioè di essere presentata e magari intesa "depotenziata" dell'esplosione di immersione nel profondo che civilmente presuppone, sempre, a prescindere dalle varie espressioni, quando beninteso, sia arte degna di questo nome.Nei precedenti post "naufragati" mio malgrado la invitavo anche a procurarmi un suo recapito dove inviare copia di saggi da me pubblicati su questi argomenti ed altri ancora. (il mio indirizzo mail lo trova sul mio sito) Volentieri la farò partecipe di quel gruppo di amici ideali e concreti "pochi ma buoni" che di solito sono i destinatari delle mie pubblicazioni rigorosamente limitate e numerate. un cordiale saluto, Antimo Mascaretti

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    1. Gentilissimo Signor Mascaretti, mi dispiace che qualche suo intervento si sia perso nelle nebbie del web; in realtà dopo quelli inseriti in coda al mio post su Cagnola non avevo più ricevuto nulla da Lei tra i commenti da moderare, altrimenti, mi creda, l'avrei pubblicata volentieri, non foss'altro per quello stimolo alla condivisione che sempre mi pervade.
      Mi spiace altresì leggerla, forse, ancor più cupo e pessimista di un paio di mesi fa, anche se riconosco che molto di ciò che dice ha un fondamento di verità... Sarà che la mia professione è lontana anni luce (e devo dire che, in effetti, anch'io oggi sono profondamente pessimista quando si toccano i "miei" argomenti...), ma continuo in modo sciocco e testardo a cercare che l'arte sia sempre la mia boccata d'aria. L'arte, si badi bene, non necessariamente ciò che ci gira intorno: lì si possono tirare molte, molte righe. E' un processo di maturazione: al "pochi ma buoni" ci arriviamo davvero tutti, prima o poi. Ognuno sceglie e si circonda dei suoi "buoni": per condivisione, per protezione, per auto-conservazione. E non c'è proprio niente di male, anzi. La ringrazio per la Sua costante attenzione.

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