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sabato 21 giugno 2014

Oggi parla.../18

... Tiziano Terzani:

"E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell'aria.
Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte,
chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla.
Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio"

Oggi parla.../17



... Beata Madre Teresa di Calcutta:

"E' necessaria l'infelicità per capire la gioia, il dubbio per capire la verità, la morte per comprendere la vita. Perciò affronta e abbraccia la tristezza quando viene"

domenica 15 giugno 2014

Tu chiamala, se vuoi, arte

Dal Vocabolario Treccani:
ARTE (2.a.): Attività creativa da cui nascono prodotti culturali, cui si riconosce un valore estetico.

Ho l'abbonamento ad una valanga di riviste, settimanali e mensili, chi più ne ha più ne metta. E molte alle quali non sono abbonata me le compro in edicola, settimanalmente e mensilmente. Poi finisce che, il più delle volte, mi si ammucchiano, perchè non ho il tempo di leggerle tutte come vorrei; intendo, leggerle davvero, non sfogliarle appena guardando le figure. 
A parte le riviste di motocross, appannaggio esclusivo di mio marito, che io non considero minimamente a meno che non mi traballi un tavolino giusto di uno spessore di 10-12 millimetri, mi piace leggere da cima a fondo tutto lo scibile tecnico e umano sul tennis, ad esempio. Divento matta per ciò che riguarda l'arredamento d'interni, anche se sulle riviste che entrano a casa mia posso solo permettermi di sbavare con occhi sognanti, perchè sono di un livello che definire elevato è un patetico eufemismo (riviste nelle quali, giusto per capirsi, la definizione più ricorrente è "prezzo su richiesta", anche di un semplice divano a due posti). Ma va bene lo stesso, trovo che leggerle affini molto il gusto, faccia scoprire nuove tendenze, e all'occorrenza accenda una lampadina su un accostamento di colori, di forme, di materiali che poi va scovato con attenta ricerca nel mondo riservato ai comuni mortali. 
Con l'attualità è uguale, è importante essere aperti a 360 gradi, infatti ho già più volte accennato al fatto che nel mio portariviste Panorama e L'Espresso non mancano mai, rigorosamente entrambi. Mi piace leggere tutto, analizzare le scelte delle copertine, dei titoli, a volte anche delle pubblicità (quali marche optano per una rivista piuttosto che per l'altra, e con quali immagini). Certo, il tempo libero è quello che è, e spesso capita che il mucchietto diventi più alto di una rivista di motocross, e io mi ritagli quella che definisco "domenica di lettura-no-stop", vissuta ufficialmente come un impegno ma sotto sotto momento individuale di puro piacere: sei/otto riviste spazzolate una dietro l'altra, sempre rigorosamente in coppia, prima una voce e poi l'altra, giusto per vedere come viene affrontato lo stesso argomento, dalle elezioni alla corruzione alla Biennale, un binario che poi corre veloce perchè parliamo spesso di argomenti nati e già finiti, come gli amori. Dopo i risultati delle Elezioni europee ho letto quattro coppie d'un fiato, con tutte le ipotesi su Matteo Renzi, e le voci pro/contro, e chi sa tutto e chi non sa niente, ed era come guardare dentro una sfera di cristallo visto che i risultati erano ormai noti, il che dava un sapore speciale a quella parola scritta che per me è sempre un gran piacere. E mi ci vuole davvero, un'intera domenica, se li voglio leggere bene tutti (le mie due orette di Frecciargento per Firenze, ad esempio, non bastano mai); io e i miei pensieri, senza rumori esterni, senza interferenze. Talvolta, confesso, per fare prima, negli articoli che sono strutturati con interviste al Personaggio Tale leggo solo le domande; se le trovo argute e intelligenti leggo le risposte, altrimenti passo alla domanda successiva. E' un giochino divertente, alla lunga impari a conoscere le varie penne, sai già quali sono le interviste che leggerai al microscopio, e quelle sulle quali puoi anche tirare il sassolino e saltellare, come nel Campanon di fanciullesca memoria.
Se consideriamo il tennis, i motori, l'arredamento, l'attualità, la politica (la moda non proprio, devo dire, lì mi basta quel pochino che trovo dalla parrucchiera), come non pensare che a casa non mi entrino prepotentemente almeno due-tre riviste d'arte. Ne ho già accennato, a spizzico, in vari post di questi miei ultimi anni: io adoro Arte In, per me vince alla stragrande, è offensivo qualunque paragone con altre riviste concorrenti (parlo di stampa italiana, ovviamente, ho già poco tempo per quella, figuriamoci se mi creo una dipendenza per quella straniera, finisce che la bulimia mi strozza). Begli articoli, belle immagini, segnalazioni sempre interessanti, pubblicità non troppo spudorata o comunque mostrata onestamente per quello che è. Taci che è un bimestrale. 
E poi c'è Lorella Pagnucco Salvemini, di cui probabilmente io sono una sorta di clone, perchè scrive sempre cose che io sono pronta a firmare col sangue. L'ho già sottolineato una volta, quando aveva parlato del brutto e dello scadente che assurgono a sport nazionale, che non vengono più celati con vergogna ma, al contrario, ostentati come la più sordida delle mode. Ma ricordo benissimo anche un articolo sulla figura dei curators di Mostre, ad esempio, che era uno spettacolo dall'inizio alla fine. E quest'ultimo, quello di questo mese, sull'abitudine, dilagante quanto penosa, dei selfies da condividere (ma perchè non continuiamo a chiamarli più semplicemente autoscatti, come è sempre stato, evitando di dar loro una concretezza internazionale che non meritano...) nell'affannosa ricerca dell'approvazione altrui, quasi fosse l'approvazione altrui a dare verità, a dare corpo, a rendere reale l'esistenza di chi viene raffigurato. Tutte parole sante, e per amor di precisione è doveroso aggiungere che Lorella Pagnucco Salvemini io non l'ho mai incontrata, credo che non abbia nemmeno idea della mia esistenza, giusto per dire che sono davvero cose che penso, non le scrivo qua per far piacere a qualcuno, o peggio. 
Sempre per il discorso iniziale che io non ho tempo di leggere le riviste quando escono in edicola, ma le riservo alle domeniche speciali che a vari step ingrossano il conto in Banca al mio ottico di fiducia, finisce che il privilegio della prima sfogliata va a mio marito (ma solo per l'arte, visto che sull'attualità e la politica ha messo una bella pietra sopra dopo una diagnosi definitiva di gastrite acuta). Questa volta mi ha anticipato tutto entusiasta l'articolo devasta-selfies, e mi ha detto qualcosa del tipo "ti sei fatta fregare l'argomento anche questa volta, dovresti scrivere anche tu un bel post su questa moda idiota, prima o poi". L'idea era quella, in effetti. Ma gli articoli di Arte In sono tanti, e questa volta ce n'è stato un altro che ha spazzato via tutto dal mio cuore: i selfies, la Lorella, l'arredamento d'interni e anche Nadal che ha trionfato a Parigi per la nona volta. E parlo del trafiletto di Carlo Vanoni.
A me Carlo Vanoni piacicchia, l'ho già detto più volte, e vorrei essere coerente. A parte il fatto che è caruccio esteticamente (ma questo non è il fulcro della questione, e peraltro non è cosa che mi debba riguardare, anche se lo posso dire con il necessario distacco, come se dicessi che trovo bella un'automobile o un vestito), parla bene, si presenta bene, si vede che ci tiene a dare una determinata immagine di sè. E bene fa, soprattutto nel mondo dell'arte, che negli ultimi anni mi è piovuto addosso, e che spesso mi spaventa da morire perchè è un mondo di squali (e non parlo di quello morto e rugoso che Hirst ha cacciato nella bara di formaldeide). Trovo che a volte esageri giusto un filino, soprattutto quando sembra realmente convinto di essere l'unico al mondo a girare per Musei ed a studiare la Storia dell'arte, ma dopo tutto non è una convinzione che crea danno, crea solo un personaggio, e forse è quello che lui davvero vuole. 
Non posso averne la certezza perchè non è che io ci parli poi tanto, con i televenditori Orler, checchè la gente creda dai miei post. Frequento l'organizzazione Orler, assisto dal vivo alle loro dirette, porto i vassoi di paste quando arrivano Marcello e Lia Scuffi e si fa festa, spesso ho partecipato a pranzi post-diretta, mi piace da matti andare a Campiglio a salutare Paolo perchè si crea un clima unico ed irripetibile in qualunque altro spazio/tempo, su questo pianeta e molti altri, ma i venditori (come è giusto che sia) tendono a chiamarsi fuori da tutto ciò. Trovo sia sotto sotto un atteggiamento intelligente, visto che il rapporto è tra il Cliente Orler e la Famiglia Orler: le rivalità fra venditori, i loro diversi caratteri, rischierebbero di minare quello che è e deve restare un rapporto, di fondo, commerciale. Tant'è che, dei tre volti maschili Orler (dopo la misteriosa sparizione aliena di Franchino, e non considerando per scelta Nonno Catone, che è un'Istituzione Super Partes), checchè ne creda buona parte dei miei lettori - abituali e non - che mi immagina persa per Dario Olivi, la mia preferenza professionale assoluta è per Davide Basilico. Lumbard (anzi, peggio: milanista!). Antipatichetto, e ne va fiero (e fa bene, in un gregge di caproni). Non ha l'empatia a mille che sfodera Dario durante le sue dirette, non ha il bel faccino di Carlo. Ma sul tappeto (antico, ma non solo) è una potenza. Sempre corretto, sempre coerente, sempre onesto. Pane sarà sempre pane, vino sarà sempre vino, non un misto mare a seconda di quando serve. E conosce bene il mondo, tutto il mondo, quello dell'arte e anche il resto, tant'è che spesso non nasconde una punta di fastidio per essere costretto a farne parte (e ultimamente io mi sento spaventosamente come lui, sono diventata davvero insofferente all'umanità media, ai io-so-tutto-di-tutto, in ufficio e con ogni probabilità anche fuori).
Ma torniamo a Carlo. 
Tocca un tasto molto delicato, per me. La famosa equazione "arte = emozione". Che lui, coerentemente devo dire, stronca ogni volta. La prima volta che gliel'ho sentito dire spudoratamente, senza neanche fingere di girarci intorno, è stato giusto un anno fa durante una sua trasmissione, e ci ho fatto un post sopra ("Imprevedibili contraccolpi") perchè io, invece, ne ho fatto una ragione di vita (la MIA vita, ma del resto comprendo che io non devo vendere quadri per mestiere e posso permettermi qualche voletto di cuore a discapito del ragionamento freddo e del calcolo dell'investimento). Non voglio ripetermi, perchè penso tuttora parola per parola quello che ho scritto in quell'occasione, e quindi invito ad una breve rilettura, vi metto anche il link così fate prima:

http://trecose.blogspot.it/2013/06/imprevedibili-contraccolpi.html

Però un conto è sentirlo a voce, altro è leggerlo in quella "parola scritta" a cui io anelo, che bramo nelle mie domeniche di assoluto sprofondamento di divano e attualità. 
Affronta l'argomento con una certa leggerezza, non so se per smussare qualche angolo o perchè è tipico del suo modo di scrivere più da web, da blogger, che da critico d'arte, ma il suo concetto resta quello. Lo inserisce in una - lo spero per lui e per i suoi rapporti sociali - ipotetica cena a casa di amici in cui finisce per stroncare miseramente il padrone di casa, il quale sostiene che l'arte deve dare emozione, facendogli andare per traverso un emozionante gelato. 
Per Carlo molte cose sono emozione: la neve, il mare, il sole, le foto dei bambini, il gelato, i mesi primaverili. Anche le stelle, presumo, ma quelle non le cita. L'arte no, assolutamente. L'arte è LINGUAGGIO - COSTRUZIONE - INNOVAZIONE. E' la vita che deve dare emozioni, non l'arte. Ecco, io mi agghiaccio quando sento queste cose, anche se rispetto il fatto che lui le pensi perchè ho Voltaire stampato sulla fronte. 
Trovo tuttavia piuttosto singolare che Dario Olivi, che dell'emozione legata alla bellezza di un quadro ha fatto la sua bandiera di vendita, in effetti VENDA come un dannato, e per quanto mezza Italia (intesa come metà dei galleristi, dei collezionisti, dei forumisti attivi, dei semplici appassionati, degli juventini e degli interisti) lo detesti come persona - senza conoscerlo personalmente, altra cosa singolare e curiosa - è innegabile che sia in assoluto uno dei più forti venditori d'arte attualmente in circolazione. 
Carlo invece fa trasmissioni pacatissime ed interessanti, scrive libri, tiene conferenze incredibilmente piacevoli (io ho assistito alla presentazione del suo libro con la Monna Lisa Desnuda sotto il lenzuolino, e mi è piaciuta un sacco, perchè diciamolo, lui NON è per niente uno studioso, piuttosto uno show-man coi fiocchi!) ma non vende una cippa, a confronto. Vendeva molto ma molto di più Franchino, prima del rapimento astrale.
Inoltre, non capisco come possa andare in brodo di giuggiole ogni volta che ospita e/o parla della pittura di Marcello Scuffi, nel quale studio si è fatto le ossa con mesi e mesi di osservazione come è solito raccontare, visto che di Marcello tutto si può dire tranne che quelle robe lì. O forse anche sì, perchè una sua maturazione come pittore l'ha avuta e l'ha ancora (tu chiamala, se vuoi, innovazione), ma di certo la gente che ama Marcello e compra i suoi quadri lo fa perchè li trova BELLI a pelle/pelle, perchè PIACCIONO senza uno specifico perchè - che va oltre tutta la storia toscana di cui sono pregni, non certo per metterli in una collezione che crei un percorso di linguaggio e/o pensiero dall'orinatoio alla manzoniana m/da allo squalo rugoso (e pure triste, perchè io leggo spesso Vanoni).
Intendiamoci, come ho già detto nel post "Imprevedibili contraccolpi" ci sta assolutamente l'esistenza del collezionista d'alto profilo, quello che compra l'opera d'arte per il linguaggio, o la costruzione, o l'innovazione o anche per tutte e tre queste cose messe insieme, ci mancherebbe. Gli auguro di fare i miliardi, perchè ha la vista lunga. Ma sono certa che quelli come me, che vogliono ancora leggervi BELLEZZA, vogliono CIRCONDARSI di bellezza, di storia, di armonia fini a se stesse, sono tanti. Tantissimi, dalla vista corta. Siamo tutti dei deficienti? 
E poi: mica mi piace tanto l'affermazione "è la vita che deve dare emozione, non l'arte". Perchè, in fondo, l'arte, cos'è? Mannaggia a questa domanda, mi riporta indietro di esattamente trentadue anni, quando avevo appena finito il primo anno di Liceo Scientifico e sono andata ad assistere al colloquio orale di maturità di mia sorella maggiore (maggiore di quattro anni, appunto). Stesso Liceo. Me lo ricordo come se fosse ieri! Un caldo boia. La poverina portava inglese orale e si era preparata come doveva sulla Letteratura inglese in inglese (preparata in verità neanche tanto bene per via dei Mondiali, ma questo l'ha ammesso solo molti anni più tardi), e si è beccata un professore che l'ha quasi distrutta (non ho la più pallida idea di come funzioni l'esame di maturità oggigiorno, ma la commissione esterna era una vera e propria schifezza), prima facendola parlare di John Keats in soliloquio mentre lui dava di gomito ai colleghi con in mano una foto della moglie, per far vedere quanto le assomigliava. Poi, a bruciapelo, l'ha interrotta e le ha chiesto: "WHAT IS ART?". Ma proprio così, di brutto. Lei è sbiancata, io ero seduta dietro e ho pensato: M/da, se tanto mi dà tanto io alla maturità in questo Liceo non ci arrivo. Ovviamente tanto non mi dava tanto (e il mio percorso di studi - Liceo e oltre - è stato abbastanza trionfale), era solo quel disgraziato in bermuda e calzini corti che si divertiva a mettere a disagio una diciottenne carina che assomigliava vagamente a sua moglie. 
Però ero lì, io, a quindici anni ancora da compiere, che pensavo: che cavolo di domanda, non saprei rispondere neanche in italiano, figuriamoci in inglese. E mentre mia sorella si arrampicava in inglese on-the-mirrors con tutta la mia solidarietà, non ho sentito manco per niente e da nessuno parole come linguaggio, costruzione, innovazione. Le avrei sentite più tardi, dai critici veri, quelli dei miei testi universitari (anche), quelli della televisione, quelli che ti impediscono di amare l'arte contemporanea perchè ti lasciano credere che l'arte contemporanea sia solo l'orinatoio e giù di lì. Io pensavo LIFE, dannazione, digli LIFE a questo idiota che tanto ti darà sempre lo stesso voto qualunque cosa tu dica, dato che non vede l'ora che tu ti giri per verificare se anche il culetto hai come sua moglie. 
L'arte è vita, l'arte è la vita. Raffigurazione della realtà, oppure concretizzazione di un'idea, oppure sogno, oppure percorso, oppure denuncia. Sempre e comunque vita. Lo penso ancora, quando sfioro le superfici perfette dei quadri di Marcello Scuffi, o quando mi commuovo, con le lacrime, sul serio, davanti alla bimba mia e di Xavier Bueno. Quando rifletto davanti a Picasso, in un Museo pieno di gente. Ma anche quando, in una Fiera, mi perdo nelle forme di un marmo di Atchugarry (tanto per restare su Arte In in edicola). 
E se, come dice Carlo, è la vita che deve emozionarci, l'equazione è ancora una volta confermata.

lunedì 2 giugno 2014

Friends

Sono sempre stata affascinata dalle amicizie maschili. Letteralmente affascinata. 
Non mi riferisco ad alcunchè di strano, anomalo o a doppio senso; parlo proprio dell'amicizia quella vera, di quel reciproco legame speciale fra persone che fa sì che - in qualunque momento della vita - tu abbia la certezza di essere importante per qualcuno, perchè qualcuno è importante per te. Qualcuno per cui faresti chilometri a piedi, scaleresti montagne, ipotecheresti la casa, con la sicurezza matematica di essere, all'occorrenza, ricambiato. Per molti, moltissimi lunghi anni. Magari dalle scuole elementari in poi, senza che alcuna fidanzata, alcuna moglie, alcun datore di lavoro possa scalfire nulla. Un misto epidermico di uguaglianza e complicità.
Un legame che l'homo sapiens di sesso femminile, al contrario, non è in grado di realizzare, tranne in pochi, rarissimi casi isolati che io considero, infatti, le classiche eccezioni che confermano le regole. E comunque non ho mai visto durare così a lungo.
Non so come mai, è probabile che dipenda dal fatto che le donne sono più istintive nel proteggersi, nel non farsi ferire da persone del loro stesso sesso (in compenso si fanno potenzialmente devastare da chiunque appartenga all'altro), e quindi evitano di donarsi completamente, cosa che l'amicizia esige, con i conseguenti rischi. O sono sotto sotto più ambiziose, e con ogni altra donna scatta la competizione, che preclude alla lunga l'amicizia vera. Parlo di competizione sulle cose che nella vita contano sul serio, gli studi, il lavoro, non mi risulta che esistano ragazze che sotto la doccia della palestra fanno a gara su chi ha il seno più sviluppato (il che è anche, tra l'altro, segno di maggior concretezza se non di intelligenza, rispetto ai ragazzi, quanto meno da adolescenti: noi non perdiamo tanto tempo a rimuginare sulla reale efficacia delle nostre parti del corpo). Oppure in fondo noi donne siamo semplicemente più calcolatrici ed egoiste, chi lo sa, e quindi col cavolo che ci immoliamo davvero per un'altra. Mors tua vita mea, e via andare.
Frullo dietro a questa cosa delle amicizie da un po' di giorni, perchè su Whatsapp mi sta girando, come una catena di Sant'Antonio, un pistolotto infinito (rispetto all'abituale lunghezza di questi messaggi rapidi) che racconta di come una ingenua ragazza fresca di matrimonio venga invitata dalla mamma a conservare, appunto, amicizie femminili. "Sorelle", dice la mamma, riferendosi a tutte le donne. Sorelle di cui la figlia sentirà l'esigenza quando il matrimonio andrà a farsi benedire, i figli se ne andranno, lei perderà il lavoro eccetera eccetera eccetera (in un susseguirsi di previsioni funeste). Io l'ho ricevuto, sempre lui, uguale uguale, già più volte, sempre da persone a me care che in cuor mio ho ringraziato perchè comprendo che - al di là della storiellina della mamma gufaccia e della figlia tonta che non guarda più in là del proprio naso - voleva essere un gesto d'affetto, ma mi sono rifiutata di farlo girare, perchè come in tutte le cose mi piace analizzare bene le parole, i verbi, le frasi, e qui ce ne sono di dubbie. O meglio, ce ne sono che descrivono esattamente com'è intesa l'amicizia per la maggior parte di coloro che appartengono al genere femminile: l'invito a mantenere stretti legami con tutte le "sorelle" del mondo è sempre ed esclusivamente dettato dal bisogno, presente o futuro. "Di una avrai bisogno per questo", "di una avrai bisogno per quest'altro"... 
Mai che dica una sola volta cosa questa ragazza potrà fare PER le sorelle, praticamente la raccomandazione non è quella di circondarsi di persone a cui voler bene, ma di creare una rete capillare di gente che ti possa essere utile in ogni momento della vita. Spesso la cosa sarà reciproca, ma non necessariamente, insomma: la cosa fondamentale è la certezza di avere qualcuno a disposizione quando mi gira di fare shopping, o di lamentarmi al telefono perchè il fidanzato mi ha scaricato, o di andare al cinema, o di farmi dare uno strappo in centro. 
La prima volta l'ho ricevuto mentre ero in macchina con mio marito, e gliel'ho letto perchè volevo osservarne le reazioni. Urge precisare che mio marito detesta le donne, o meglio, non le detesta per niente in quanto a presenza: ama essere circondato da donne, soprattutto se giovani, carine e curatissime tipo le cameriere dei ristoranti fighi. Ama osservarle, sentire i loro profumi, ammirare i loro vestiti, le loro movenze. Però in linea di massima considera l'essere umano "femmina" inferiore all'essere umano "maschio", tutto qui. Non troppo inferiore, giusto un pochino. Non è tipo che si mette a fare discorsi seri con le donne, lui. Tipo parlare di lavoro, o di politica, o di soldi. Per la frivolezza delle donne, o più probabilmente per aver riscontrato, negli anni, in molte donne (sue e/o di altri) un profondo egoismo ed una feroce spietatezza. Infatti quello che lui considera il suo più grande complimento nei miei confronti, che mi ripete sempre, è che io ho l'aspetto fisico di una donna ma in realtà non lo sono. E che se non avesse incontrato me non si sarebbe mai sposato. Il che è indubbiamente un enorme riconoscimento da un lato, per la stima e tutto quello che ci va dietro, ma sotto sotto mi lascia sempre un punto di domanda, come quando uno ride ad una battuta che lo riguarda e poi si ferma con l'occhio baio alla Carlo Verdone, pensando ma se rido io anche gli altri ridono di me. 
Ha mantenuto amicizie per quarant'anni e oltre, amici dalle scuole elementari che hanno resistito a scuole successive diverse, percorsi di vita diversi, infiniti stuoli di fidanzate diverse, lavori diversi, situazioni economiche diverse. Non duemila persone, non duecento, nemmeno venti. Pochi, selezionati, ma veri. Io l'ho sempre invidiato, in senso buono, per questo. Per me è impossibile, per quanto sia una donna fondamentalmente anomala. Io non esco alla sera se non ne ho voglia, lui sì, anche se è stanco, anche se la sveglia sarà prestissimo, perchè - dice - l'amicizia è un onore e un onere, e non puoi coltivarla solo quando vuoi o puoi. Non ha mai cambiato quegli amici, perchè gli amici non si cambiano, siamo noi donne che ad ogni fidanzato ci dimentichiamo delle amiche per attaccarci come cozze al gruppo di amici del fidanzato nuovo (creando poi numerosi problemi in caso di rottura, perchè si scatenano le gelosie e le ripicche del chi-parteggia-per-chi). Dopo un minimo di esperienza, io ho volutamente abbandonato questo insidioso comportamento, e difatti con il suo gruppo di amici non ho mai voluto saperne di uscire. Sono tuoi, non creiamo confusione. Ognuno si tenga il proprio ruolo. A me non stanno nemmeno particolarmente simpatici, ma è assolutamente irreale che io ti chieda di non frequentarli solo perchè non piacciono a me, visto che loro li conosci da venticinque anni (all'epoca) e me da un mese. Lui ha continuato le sue uscite "maschili" - e il nostro rapporto è sempre filato una meraviglia - fino a quando alcune di queste non si sono interrotte per motivi indipendenti da me.
Ebbene, il mio Vecchio Saggio ha reagito con veemenza alla storiellina, dicendo che solo le donne possono aver bisogno di qualcuno che le esorti ad avere, a mantenere, a curare lunghe amicizie; per l'uomo è cosa innata, lo sente nel DNA. E tra l'altro, la descrizione che ne fa il messaggio non è - appunto - nemmeno quella dell'amicizia vera, ma quella di un ragno che tesse una tela. Una tela di contatti ed opportunità.
Mi sono sentita rattristata, perchè sotto sotto sapevo che aveva una punta di ragione. E' come quando si trovano in Internet le guide per i colloqui di lavoro con i consigli per non sbagliare e ci leggi "Non arrivate in ritardo", oppure nelle dritte per una serata perfetta trovi scritto che è meglio lavarsi, prima. La banalità più totale che, proprio in quanto tale, è verità. Io ho sempre cercato di non far mai cozzare uno contro l'altra Amore e Amicizia, piuttosto di farli convivere pacificamente, perchè credo che alla lunga un uomo scelga il bene meno luccicante ma più duraturo, quello meno intenso ma più concreto, cioè l'amicizia (a scapito dell'amore). Un'arma a doppio taglio, che gli uomini sanno maneggiare meravigliosamente, e alla quale solo poche donne hanno la fortuna di accostarsi. Noi preferiamo bruciare, come l'amore, evidentemente; sì, probabilmente noi amiamo meglio. E ci scottiamo con facilità.    

Donnine in carriera

Direi che è giunto il momento di aggiornare uno dei miei vecchissimi post, che risale a quel periodo plumbeo in cui postavo una volta al giorno per sentirmi meglio, ed il fatto che avessi tempo di farlo già denota che, in effetti, stavo meglio, quanto meno meglio di questo "adesso" in cui mi sento tanto una trottola senza meta.
Il post in questione è "Curriculum - Istruzioni per l'uso", direi solo la Seconda Parte, quella del 13 Gennaio 2012 in cui spiegavo cosa generalmente fanno i dipendenti di un'Agenzia di Assicurazione, per dare piccole utili dritte a tutte le giovani signorine che fanno domanda da me e dai Colleghi pensando equivalga a timbrare il cartellino e poi sedersi a navigare su Internet per i cavoli propri. 
E il concetto è che sono vecchia, tremendamente vecchia. Dovrò farmene una ragione, prima o poi. 
Il mio concetto di Agenzia è quello basato sull'umanità, sul sorriso, sulla conoscenza delle generazioni precedenti a chi mi sta di fronte, sulla spinta del prodotto certo, ma sempre e solo nell'ottica che serva al Cliente (e che il Cliente possa/voglia sottoscriverlo). Diciamo in un certo senso l'Agenzia in cui l'impiegata è un po' mamma e un po' sorella, ti ascolta, ti offre il caffè, ti consiglia su quasi tutto: dalla Polizza al colore della cravatta. Se poi è anche abbastanza furba da sfruttare queste sue attitudini per giocare in team con il proprio Agente (che di solito è quello frettoloso, sempre di corsa, che si occupa delle cose FUORI dall'ufficio, che va a trovare i Clientoni grossi che all'impiegata non rivolgerebbero la parola neanche sotto tortura, anche se poi è lei che risolve tutte le loro rogne legate ai sinistri o alle emissioni di Polizze alle sette di sera del 31 Dicembre) diciamo che l'Agenzia ha ottime basi per andare alla stragrande. 
Così è come la vedo io, ma mi sbaglio. Così non è più. E dovevo rendermene conto già da un paio d'annetti, da quando cioè le mie tre Ragazze hanno cominciato a farmi il muso quand'era il momento di partecipare ai corsi di formazione erogati dalla Compagnia. Ma come, qualche spensierata giornata fuori dall'ufficio percependo comunque lo stipendio, incontrando le Colleghe del resto della Regione (e a volte anche un po' più in là), confrontandosi, chiacchierando, ascoltando esperienze diverse,  eccetera eccetera?... Pare che i corsi non siano più quelli di una volta, perchè - sempre pare - le Colleghe non sono più quelle di una volta. Io sono Agente da dieci anni, e ormai il "giro" delle impiegate l'ho perso, probabilmente molte di quelle che conoscevo io sono andate in pensione, e non vedo più da tempo le nuove leve dal momento che da dieci anni ho l'Immenso Privilegio di partecipare ai corsi per gli Agenti (e su questi ci potrei scrivere un libro, non un post).
Ed eccoci al nocciolo della questione: le Nuove. A quanto pare, le mie tre (la più giovane delle quali sfiora ormai la quarantina) non legano molto con la Nuova Generazione, con le giovanissime. Sono strane, sono rampanti, legate a filo doppio ad ogni "se" e ad ogni "ma" della Direzione (anche se non è propriamente la Direzione che le paga...), e sono tutte strafighe tra l'altro, tutte gran pezzi di ragazze fisicatissime-bellissime-abbronzatissime che non temono di mostrare le proprie grazie anteriori e posteriori (neanche durante i corsi) e veleggiano sui loro tacchi altissimi sbaciucchiando rumorosamente Ispettori e Formatori. Niente più mamme, niente più sorelle. Solo macchine da guerra. E brave, anche! Perchè tutti sappiamo ormai da tempo che la trita equazione "bella&scema" è una bufala inventata da qualche bruttona che rosicava. Queste qua sono intelligenti, si impegnano e riescono. Certo, posto che il "riuscire" sia inteso come "portare numeri", contratti, firme. Passare sopra a tutto e a tutti, Clienti per primi. Non esattamente la mia idea di umanità e di servizio, perchè quello in fondo noi vendiamo, visto che il nostro prodotto non è tangibile, non è una penna, non è un ombrello, che compri anche se il venditore non ti piace posto che ti piaccia l'ombrello: noi vendiamo fumo, vendiamo qualcosa che non si vede (o meglio, qualcosa che si vedrà solo in momenti molto spiacevoli), vendiamo la nostra faccia, la nostra credibilità.  
Io sulle prime l'ho presa in ridere, questa cosa della Generazione Fighe. Però, sarà un caso, ultimamente tutte le Compagnie stanno battendo come delle forsennate sull'importanza di vendere tramite il Front Office (magari prodotti di bassa fascia, rigorosamente a rate mensili, tutto sommato poco convenienti e poco mirati perchè troppo adatti a tutti, e quindi realmente a nessuno), e da qualche parte un riscontro ci deve pur essere. Creano gare apposta per le impiegate, le mettono in competizione l'una con l'altra, l'una contro l'altra. E queste mi perdono di vista l'obiettivo principale, che è quello di essere il trait d'union tra il Cliente e l'Agente, rassicurare, sorridere, essere gentili... e ti cacciano sotto il naso roba pronta da firmare senza che tu neanche sappia cos'è. Anche io ho sempre fatto presente a chi ha lavorato per me che la nostra è e resta comunque un'attività di vendita, e quindi anche l'impiegata deve tendere con naturalezza a quello, ma parliamo di una normale analisi e della proposta di qualcosa di utile, non di una prima linea di mortai.
Poi, qualche giorno fa, è successo anche a me. Mi dilungo sull'antefatto. Un mio caro Cliente, che conosco bene e con il quale c'è un rapporto di stima reciproca, l'anno scorso mi segnala che la sua attività sta andando praticamente in malora, gli dispiace moltissimo ma è costretto a mandarmi le Raccomandate di disdetta per le sue Polizze, che peraltro non rinnoverà da nessun'altra parte, e le due RCA che per ovvi motivi di obbligatorietà di Legge deve fare per forza andrà a sottoscriverle dal Tal Collega di altra Compagnia che ha una Convenzione a cui lui può aderire risparmiando parecchio. E confermo che così è successo: mi ha fatto arrivare una Raccomandata per la sua Polizza Infortuni e una per quella della moglie, e poi si è fracassato una spalla il mese dopo, ed è ancora in riabilitazione. Senza copertura. Tanto per capire che è soprattutto nei momenti grami che sarebbe bene non lesinare sui premi assicurativi, magari è meglio rinunciare alle ferie (questo in generale, eh, non parlo di chi deve scegliere se mettere il pane in tavola a pranzo oppure a cena). Poi mi è arrivata la disdetta per la Polizza dell'attività che scadrà a Novembre prossimo. La disdetta per la Polizza della casa a nome della moglie che scadeva il mese scorso, quella invece no, non mi è arrivata. Allora io lo chiamo e gli dico "che fai, la tieni?" oppure è una dimenticanza... Lui cade dal pero (a questo punto spero non sopra la stessa spalla) e mi dice che aveva passato tutte le carte all'assicuratore delle due macchine, che si arrangiasse lui a fare le Raccomandate. Anzi, adesso lo chiama e mi fa mandare le copie. Io lo tranquillizzo che se mi arriva la copia con la matrice del talloncino della Raccomandata mi va bene lo stesso, e ci salutiamo con tante care cose.
Ed eccoci al dunque: mi arriva una mail dal nuovo assicuratore (che adesso, con gli ultimi impasti, fusioni ed acquisizioni è pure della mia stessa famiglia, anche se noi che siamo i "comprati" siamo ancora considerati i cugini poveri e delinquenti, neanche avessimo fatto fuori noi con le nostre manine tutti i denari della nostra povera, gloriosa, depredata Mandante) firmata dall'Impiegata Figa, con due scansioni pdf:
1) Modulo di disdetta a nome della moglie, senza firma
2) Talloncino di invio Raccomandata a nome della Ditta del marito, datata Febbraio
Poichè nel mio ufficio difficilmente le cose vanno perse, e soprattutto poichè io non sono nata ieri, la prima cosa che ho fatto è stata confrontare il numero della Raccomandata scritto sulla matrice con quello della busta che mi era già giunta per la Polizza dell'attività, ed ovviamente coincidevano. La seconda cosa che ho fatto è stata respirare a fondo per una  buona decina di minuti, perchè se c'è una cosa che non sopporto nella maniera più assoluta è che qualcuno cerchi di farmi passare per deficiente, soprattutto se quel qualcuno ha vent'anni di vita (e di ufficio) meno di me. Posso avere tanti difetti, ma non sono stupida ed ho un'ottima memoria; se permetto - ogni tanto - a qualcuno di credere di potermi prendere in giro (con simpatia o a volte anche con malizia) è solo perchè mi va bene così, per motivi miei, principalmente per mettere via sassolini per il futuro. E di certo non lo permetto all'Impiegata Figa. La terza cosa che ho fatto è stata chiamarla, ed ho avuto la conferma definitiva dell'esistenza di questa Nuova Specie. Era figa anche nella voce, con tutte quelle esse sibilanti quasi zeta cacciate ad ogni consonante. Miss Machete.
Sulle prime pensava che la mia obiezione riguardasse il foglio senza firma, con tutta probabilità ancora fresco di stampa, e si è premurata di dirmi che loro non sono soliti conservare copie firmate (pare le stampino in doppia copia e poi ne facciano firmare una sola; io, in compenso, non uso Twitter ma so che è ancora in commercio un utile apparecchio chiamato "Fotocopiatrice"). Quando ha capito che la mia obiezione riguardava il talloncino, relativo a tutt'altra Raccomandata, ha giurato sul suo ultimo perizoma fluo che si ricordava perfettamente di aver messo entrambi i fogli in un'unica busta. Quel giorno di Febbraio, a quell'ora. Assolutamente, eccome. Ci mancava che mi desse ragguagli sulla temperatura esterna e sull'umidità nell'aria. E io non demordo. Le dico che, comunque, anche se fosse vero, o facendo finta di credere a questa balla colossale (perchè come ho la busta con un foglio avrei quella con due, e invece non è così), è un'operazione che non va bene, perchè non poteva disdettare con Raccomandata a mittente persona giuridica X anche una Polizza di persona fisica Y. Non ha alcun senso, tra l'altro per le due Polizze Infortuni che scadevano lo stesso giorno avevano fatto due Raccomandate separate. Risposta: è perchè con questa qui avevano finito i francobolli. Ma tu guarda che sfiga mortale. Io le faccio presente che senza Raccomandata la Polizza della casa non la posso annullare, e mi tocca fare gli atti legali al Cliente (attenzione adesso, perchè stiamo parlando di colui che ora come ora è un SUO Cliente!), e lei conclude: "Glieli faccia". Tzè-tzè-tzè.
Io ovviamente non farò gli atti legali ad una cara persona che so essere in gravissime difficoltà economiche e per giunta con una spalla fratturata, non ho mica la scritta Equitalia qua fuori. Tra l'altro sono stata, prima di mettermi per conto mio, per tredici anni un'impiegata vecchio stampo, di quelle non fighe e che sorridono, non prendo la gente per il collo. Però l'ho chiamato, gli ho raccontato il siparietto, abbiamo riso amaramente entrambi, e l'ho pregato di non dire niente al suo nuovo assicuratore: lui mi ha promesso che andrà lì imbufalito, pretendendo che siano loro a pagargli la Polizza scaduta e non disdettata. Poi accenderà un cero in Chiesa, sperando che non si ripeta la fatalità  verificatasi con la Polizza Infortuni, perchè è evidente che loro non si accolleranno alcun onere del genere. Poi passerà a trovarmi per bere un caffè, firmarmi una disdetta autografa che io accetterò anche se fuori termine, e raccontarmi se la signorina E. è davvero una Gran Figa come sembra al telefono. E pensare che se E. mi avesse detto qualcosa di semplice, qualcosa di umile tipo un "accidenti mi sono proprio dimenticata, non è che possiamo andare incontro a questo signore che ha dei problemi serissimi di liquidità, poverino si è anche fatto male", insomma un qualcosa che mi avesse dimostrato che lei lo conosceva e CI TENEVA, io non avrei detto bai. 
Ad ogni modo, nel frattempo, mentre attendo con ansia questa conferma sulle reali doti estetiche di E., devo aggiornare il post per rispetto a tutti coloro (e sono ancora molti, a giudicare dalle lettere cartacee e elettroniche che ricevo mensilmente) che vorrebbero quanto meno provare a lavorare in un'Agenzia di Assicurazioni:
- Via tutti i maschi, le ragazze cicciottelle, quelle troppo magre, quelle con l'acne: o fighe o niente
- Presumo: sopra i venticinque-ventisei sei già da ricovero, cosa pretendi da me, i miracoli?
- Non dovrete vendere: dovrete stra-vendere. Di tutto. Preparatevi. Un mix di cattiveria e bugie. Cafonaggine e maleducazione. Ah, a proposito, gran disprezzo per chi fa questo lavoro da una vita. Solo voi capite tutto. Solo voi sapete tutto. Siete bravissime e bellissime. Se insistete ancora un pochino con quel tubino fasciante va a finire che l'Ispettore vi porta in gita (in orario d'ufficio).
- Il Cliente non conta un tubo. Fuori uno e dentro un altro, una metafora a voi molto cara.
Non è così? Non lo so più, francamente. Ed altrettanto francamente è evidente che non è giusto fare di ogni erba un fascio, perchè ci sono per certo tante brave ragazze e bravi ragazzi giovanissimi che lavorano bene, con umiltà e rispetto, in molti uffici, studi, negozi eccetera. Il problema è che nella prima stesura di questo post avevo scritto "un sacco" di brave ragazze, e poi sono tornata su e ho corretto.