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sabato 31 dicembre 2016

Una finestra aperta e subito richiusa

E' la storia che si ripete, non ci si può fare niente. Capita, con i suoi fatti e i suoi antefatti, e noi ci adattiamo sorridendo. 
Ci voleva ancora una volta Marcello Scuffi, con la sua pittura sognante e la sua spontaneità al limite della gaffe, per farmi aprire e richiudere immediatamente una finestrella su Trecose, giusto in Zona Cesarini di questo 2016 che ha segnato cambiamenti così importanti nella mia vita. E, come già avvenuto oltre quattro anni fa (che nella blogosfera sono un lasso di tempo mostruosamente lungo, pari a intere generazioni), c'è un Antefatto. 
A Febbraio di quest'anno il Tè da Ristori è stato dedicato a Marcello, prima e unica volta senza la presenza di Giovanni Faccenda, che non aveva potuto/voluto intervenire (gli artisti e i critici d'arte, è evidente a crescere verso i più bravi, sono tutti nel profondo un po' primedonne: meno si indaga sulle loro cose e meglio è). Marcello aveva proposto di sostituirlo con una studiosa che stava approntando una sua futura Mostra, in terra veneta tra l'altro, ma le occhiatacce di Franco Ristori non avevano lasciato spazio a dubbi: la presentazione doveva farla la sottoscritta, cascasse il mondo. Poco importava sia che la sottoscritta avesse lo stomaco ingarbugliato a farsi riprendere dai microfoni e dalle telecamere di Toscana TV, sia che Marcello (come già la prima volta nel 2012, il famoso sguardo scettico di fronte all'Emerita Sconosciuta che avrebbe dovuto scrivere di lui) tutto sommato temesse un buco nell'acqua. E a ragione, devo dire: essere bravini e fluidi nello scrivere mica equivale automaticamente ad esserlo nel parlare. Mai e poi mai ai livelli di Giovanni, che pur con tutti i suoi difetti è e resta un vero e proprio principe dell'eloquio critico, non conosce intoppi, fila liscio come un treno anche quando improvvisa, ed è sempre piacevolissimo da ascoltare. Ma come già nelle mie precedenti occasioni verbali (due!) su Claudio Cionini, sembra che sia filato più o meno tutto liscio anche alla sottoscritta, al punto che la sera stessa Marcello mi ha chiesto un contributo per il Catalogo della futura Mostra veneta. Eccome, a fine mese era già pronto.
Poi, si sa, son cose che accadono: la mia incapacità tecnologica in invio, unita ad altrettanta imbranataggine in ricezione da parte di Scuffi, ha fatto sì che glielo consegnassi solo in forma cartacea; nel frattempo la Mostra slittava di qualche mese, e insieme ai più cari auguri di buona fine e buon principio proprio oggi mi veniva in mente di chiedere a Marcello se dopo tutto non fosse meglio averlo anche sotto forma di file, il contributo. Giusto per sentirmi rispondere, con la sua usuale genuinità condita con acca, nell'ordine:
a) che il Catalogo era ormai alle stampe, 
b) che per questioni tipografiche (e per Ubi Maior, aggiungo io con effettiva deferenza, sentendo i nomi degli altri presenti in forma scritta) il mio testo non sarebbe stato pubblicato per intero bensì estrapolato in vari punti, e 
c) che comunque il mio nome sarebbe apparso insieme a quello dei Maior di cui al punto b). 
Marcello, adorabile testone. Hai anche fissato, per sbaglio, la data dell'inaugurazione in contemporanea a quella di una Mostra di Gianfranco Meggiato, costringendo gli appassionati di entrambi ad un'impossibile salomonica scelta. Testone, con quel talento cristallino che ti ritrovi per le mani, quando prendi su i pennelli.  
Ma accidenti.
Che dolore.
Ecco la finestrella che arriva.
Non scrivendo io per professione o a pagamento, il fatto che appaia o meno il mio nome passa in secondo piano. Traducendo: frega poco. In questo lungo, interminabile anno di passaggio dalla prima alla seconda parte della mia vita, ho continuato a scribacchiare cose più o meno riuscite, sempre per il semplice gusto di farlo. 
Un intervento per Paolo Orler, ad esempio, per il Catalogo di una Mostra di soli tappeti antichi, e anche lì da qualche riga di contributo chiesto a vari collezionisti è diventato un mezzo paginone di emozioni dopo aver passeggiato in solitaria e senza scarpe in una Galleria Orler che trasudava storia annodata e meraviglie da ogni angolo. 
Oppure un paio di articoli (tre, per la precisione) apparsi nelle pagine di cultura de La Nazione in occasione di altrettanti Tè da Ristori, anche quelli senza firma (credo in effetti che non sia nemmeno possibile, visto che non sono giornalista), ma chi se ne importa, lo so io e lo sa chi mi vuole bene. Articoli costruiti come interviste, per dare un taglio commerciale all'Evento, dal momento che non è sempre carino che Franco tiri fuori un tot di quattrini per farsi pubblicità e poi si ritrovi a leggere bellissimi sbrodolamenti sul pittore di turno, senza manco un accenno alla Bottega foraggiante, al fatto che chi viene a vedere le opere sarebbe bene che, a volte, le comprasse anche. Con un occhio alle cornici, la parte speciale dell'acquisto.
Ma il ricordo più bello di questo Duemilasedici da scrittrice senza firma è legato indubbiamente al Maestro Antonio Possenti, se ci penso mi viene il nodo in gola, e mi sa tanto che mi ci verrà ogni volta. Una delle sue ultime apparizioni pubbliche prima di concludere questo viaggio ed iniziarne uno nuovo, ben più importante e più lungo; il Tè di Maggio. Dal momento che Franco Ristori non ha un'automobile ma un'astronave, per il Maestro già molto sofferente e provato risultava estremamente difficoltoso salire e scendere, e quindi avevo messo a disposizione la mia macchina, assai più terrena, per il tragitto Firenze-Lucca-Firenze. Solo perchè la possiedo, ovviamente, non certo perchè io la guidi, anzi, in tre anni non l'ho mai guidata una volta salvo una prova in stile neopatentata in un parcheggio deserto, giusto per ribadire che una roba così bassa e lunga dotata di quell'assurdo arnese denominato "cambio automatico" per me resterà sempre un mistero. Panda a pedali, forever.
Io quindi me ne stavo seduta dietro, buona buona, ad ascoltare gli aneddoti e i ricordi del Maestro, e già solo per questo mi sentivo una privilegiata. Poi lui ha cominciato a raccontare come era nata l'idea della Mostra sull'Orlando Furioso che si sarebbe inaugurata di lì a breve nella Fortezza di Mont'Alfonso, una Mostra tanto desiderata a cui lui avrebbe presenziato fino alla fine dalle sommità dei Cieli, ma quel giorno non lo sapeva ancora. Spiegava che era un progetto nato solo dalla sua passione per il disegno, ne spiegava il titolo, raccontava come l' "altrove" fosse per lui, a volte, un'esigenza impellente (al pari del mio "oltre"), e io - totalmente folle e senza un pelo di umiltà, in quell'occasione - avevo detto che lo capivo, perchè per me scrivere era uguale, quasi una necessità fisica, foss'anche solo per me stessa. Invece di ignorarmi come si fa con un essere palesemente inferiore (perchè tale ero, di fronte a lui, alla sua intelligenza, alla sua cultura, alla sua arguzia, al suo talento, alla sua storia, alla sua infinita passione per ogni cosa), si era interessato e mi aveva chiesto di che scrivessi. E, scoprendo che avevo scritto di lui due anni prima (http://trecose.blogspot.it/2014/04/bambini-e-maestri.html ), aveva voluto ascoltare. Detto/fatto, dallo smartphone. E' proprio vero che scrivo tanto, perchè poi a leggerlo bene, con le pause giuste, ci si mette un sacco di tempo, con la macchina ormai in vista della Bottega che girava e rigirava intorno alle viuzze circostanti pur di farmi finire con calma, e gli occhi del Maestro Possenti che sorridevano guizzanti, la sua testa piegata di lato in lievi cenni di approvazione, e infine la richiesta: "Potrei averne, per favore, una copia?" che mi ha fatto tremare le gambe. Taci che ero seduta. Una stampante, il mio regno per una stampante subito, quella sera!
Ecco. Non sapeva come mi chiamassi, non l'ha più saputo (ora sì, lo sa, ora sa tutto). Però sapeva leggerti dentro come nessuno, e l'abbiamo riportato a Lucca, dopo la serata in suo onore, con tre fogli fitti fitti dentro una tasca, scritti da una Sconosciuta non estrapolata.
Finestrella che si apre e subito si richiude. Solo per me. Non per coloro che amavano Trecose, e che mi mancano tanto, nè per alimentare le penne velenose che non l'amavano, e che alla fine mi hanno fatto gustare il puro piacere di ignorarle e lasciarle nel limbo dei Commenti-non-pubblicati (guizzi di sadismo, verso chi cerca notorietà aggredendo).
Giusto perchè mi piace l'idea di poterlo rileggere per intero se ne ho voglia. 
Giusto perchè, quando scrivo delle mie emozioni, è come se da un taglietto sul cuore uscisse fuori un fiume. Non puoi estrapolare un fiume, al limite posso farlo io che ne conosco ogni singola onda.
Giusto perchè quel titolo, "Alchimie di un'identità ricorrente", ci ho messo un po' a trovarlo, ed è un bel titolo pure per un post, non solo per un saggio da Catalogo. 
Giusto perchè all'inizio c'è una citazione di Kahlil Gibran, e davanti alla poesia di Gibran, cari signori, tanto di cappello.


Aggiornamento in data astrale 13/01/2017. Tutto in onore di PNV, uno dei miei ultimi lettori in ordine temporale (primo per sagacia), che mi ha chiesto di lasciare semichiusa la finestra. Del resto, oggi è un venerdì 13, quindi - se tanto mi dà tanto - un pochino la sua festa.
Non so se il tutto viene da Marcello in persona (improbabile), o dalla curatrice della Mostra (meno improbabile, ma più impossibile, visti gli strafalcioni), o dal grafico. Con tutto il rispetto per la categoria di professionisti, preferirei che si occupassero della forma e non dei contenuti (virgole e corsivi compresi).
Fatto sta che il mio saggio non è solo stato tagliato e sminuzzato come la pasta per il brodino, ma anche modificato, e questo non si fa. Non fa solo male all'anima, è decisamente deplorevole, soprattutto se ci si lascia la firma sotto. Andiamo da errorini di trascrizione anche banali, ma che cambiano senso alle frasi (esempio "edifici sabbiosi lambiti da darsene blu, intensi come pensieri tristi", quando invece erano le darsene ad essere "intense", ovvio, non gli edifici), ad altri piccoli particolari da categoria l'italiano-questo- sconosciuto, a cose più importanti tipo l'omissione di un semplice "non" che stravolge tutto. Perchè io vedo le barche di Marcello, così irreali ed appiattite, quasi fluttuanti sopra un mare di marmo, e quindi dire "barche che riuscivano a penetrare quelle (...) acque" non è esattamente come dire "non riuscivano"...
La dolce anima che mi aveva mandato via Whatsapp gli scatti in anteprima di quelle pagine sentiva i miei ululati a duecento-e-passa chilometri di distanza, e cercava di blandirmi dicendo che - in fondo - nessuno legge davvero gli scritti dei cataloghi. A parte il fatto che, se fosse realmente così, perchè cavolo ce li domandate, e pagandoli a volte fior di quattrini ai critici veri, mi chiedo, allora metteteci direttamente solo le figure; a parte questo, dicevo, li leggono di sicuro le persone a cui tengo, i miei amici collezionisti con i quali mi ritrovo in giro per l'Italia in occasione di Mostre di Scuffi & Co. E leggere il mio nome sotto una tiritera da scuola elementare come questa: "Fabbriche vuote barche treni e grandi tendoni di circhi immaginari eterno realismo scuffiano", così, senza punteggiatura nè altro, quando l'originale era "Fabbriche vuote e barche addormentate: eterno realismo scuffiano", mi fa agitare. Che poi nemmeno lo penso, che i circhi di Marcello siano immaginari: sono reali, realissimi! Al limite è solo la loro apertura - così scura, misteriosa ed evocativamente triangolare - che ti trasporta all'interno, in un mondo immaginario. E mai e poi mai userei un aggettivo così banale e piatto come "grandi", quando la nostra meravigliosa lingua ci permette l'uso di incredibili sinonimi quali  immensi, imponenti e così via.
Insomma, mi sono sentita incompresa. Mio marito mi ha detto di non esagerare, ma se la passione è tanta io mi ci alimento (come sa bene il carissimo Tra Cenere e Terra, che ha commentato un mio post a riguardo invitandomi a non cambiare http://trecose.blogspot.it/2012/10/six-weeks-ago-psicologia-sotto-un.html ).
Quindi farò così: porterò uno dei miei acquerelli di Scuffi (uno di quelli che ho da lui ricevuto in regalo, dal cuore, non quelli che ho pagato a Orler) da un corniciaio. Ma mica da Re Ristori, lo porto dall'ultimo degli scalzacani. E gli dirò di togliere tutta la parte alta, perchè dove lo devo appendere non ci sta. E poi se per cortesia mi ci aggiunge qualche alberello, che leghi bene mi raccomando con le barchette davanti, proprio sopra la firma.
Poi tornerò a casa con lo stomaco capovolto.   

Alchimie di un'identità ricorrente

"L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni;
e così noi vediamo magia e bellezza in loro,
ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi"

Kahlil Gibran


Ci sono cose, nella vita, che non stancano mai.
Cibi. Visi. Percorsi. Gesti quotidiani. Li hai fatti migliaia di volte, e già sai che per milioni di volte li rifarai, provando ogni volta quel sottile piacere, quel senso di appagamento così conosciuto, eppure ogni volta così nuovo e fresco.
La sigaretta dopo il caffè. Il profumo del caffè. La nutella sul pane.
Il mare, d'inverno. Le lenzuola, d'estate. Le montagne, sempre. Alcune di queste sono universali; poi, ciascuno conosce molto bene le proprie (quella della nutella sul pane, ad esempio). Per me, crema di nocciole a parte, tutto ciò ha da anni un nome e un cognome: Marcello Scuffi, pittore.

Di Marcello, di lui come persona, di parlare di lui, di scrivere di lui, dei suoi dipinti, di toccarli, sfiorarli, ammirarli, io non mi stancherò mai. L'ho già fatto e so già che continuerò a farlo, a volte ripetendo alcuni concetti, altre volte trovandone di nuovi, ma sempre e comunque felice e appagata.
Come collezionista sono un vero disastro, non ragiono, non rifletto, agisco sempre e solo d'istinto: quell'istinto che, quando mi trovo in mezzo ai quadri di Marcello, fa sì che me ne torni a casa con un nuovo chiodo da occupare. Ogni volta, alla faccia della diversificazione. O alla faccia della regola basilare non scritta: "Meglio un quadro da diecimila che dieci da mille". Però la colpa è sua, mica mia. Migliora negli anni, come il vino buono, toscanaccio. Ogni volta che ritengo abbia definitivamente raggiunto il suo culmine, lui sorprende e lo supera.

Sorprende per quella sorta di pervicace coraggio con cui da oltre quarant'anni si dedica esclusivamente alla pittura, e pittura di figurazione per di più. Non si lascia inquadrare, non si lascia travolgere, non ha mai imboccato nè mai imboccherà l'autostrada a cento corsie, tutte a pedaggio, degli innumerevoli "ismi" degli anni Settanta, Ottanta, Novanta e oltre. Niente pop, niente op, niente body, o land. Ma nemmeno concettuale, o gestuale, o informale: pervicace e fedele a un modello, a una tradizione. Mentre c'è chi accende neon o mortifica animali di ogni specie, lui ritrae case solitarie, ama immobili orizzonti, vive di mare.

Sorprende e supera tecnicamente, con quelle tele grezze, testimonianze di viaggi lontani, di sudore, di sole e lavoro, che ricopre di una nuova vita, fatta di colle e di gessi, una vita così bianca e così liscia da non crederci. Una vita da toccare, con i polpastrelli, delicatamente; io l'ho fatto, ho toccato ad occhi chiusi le sue tele ancora vuote, ferme in piedi, in gruppo, negli angoli più reconditi del suo studio, allineate in attesa della materia.
Va fatto, con certi pittori, con quelli bravi quanto meno, per i quali non vi è distinzione tra l'importanza del cosa dipingono e quella del come dipingono, perchè il supporto è parte fondamentale del soggetto. Quante gradazioni può avere il liscio? Quanto calore può sprigionare il puro bianco? Una sinestesia di emozioni, che culmina allorquando il colore, abbondante, pieno, viene poi spalmato via, strisciato, graffiato, quasi trascinato, un tutt'uno con la superficie sottostante, e prende forma, una forma ferma: barche immote, piani orizzontali a rincorrersi uno sull'altro fino al mare, oppure costruzioni geometriche, rigorosamente squadrate, cupe, con improvvise e profonde aperture scure. Teli pesanti, che celano mondi misteriosi, o reti impalpabili e trasparenti, leggere come ragnatele madide di rugiada. Vecchi vagoni, abbandonati nei depositi, con le ruote crocifisse ad un binario zoppo: le estremità bloccate per l'eternità, e il cuore libero di far volare con la fantasia chi, ancora, di nascosto li accarezza e sussurrando sogna. Pali ritti al cielo come lance aguzze, come una mano aperta, a incrociare una scia luminosa, una pennellata sola, decisa. Ed è tutto così fermo nel tempo, così immobile da trattenere il fiato, per non increspare la linea perfetta dell'acqua: che sia essa darsena chiusa o mare infinito, riflette ininterrottamente come specchio, purissima nella sua solidità.
Ovunque, si scoprono minuscoli anfratti come capocchie di spillo, crettature volute, piccolissimi graffi alla ricerca di un sapore antico. Una realtà parallela, una consistenza solo sua, di pittore che vuole sentirsi appellare come realista e mai come metafisico, lo ribadisce spesso, corrucciato: "Dipingo solo ciò che vedo".
Si nasconde, Scuffi, dalla pittura metafisica, che pure lo insegue, lentamente agli esordi, e poi via via prepotentemente, per farlo andare oltre, per trasportare - lui e chi lo guarda - in un'altra dimensione, e ci riesce solamente a metà. Lui le resiste. Non metafisico, allora: niente enigmi mitologici, niente statue e manichini, una prospettiva regolare e vera. Ma nemmeno realismo, nemmeno! C'è troppa magia per definirlo tale, troppo incanto, troppa eternità in quei soggetti reali ed evocativi di un mondo umile. Fabbriche vuote e barche addormentate: eterno realismo scuffiano.

Sorprende noi, e supera se stesso: c'è sempre più anima negli oli di Marcello Scuffi, un'anima che risale in superficie come una bolla carsica da tempi lontani, che richiama nomi importanti: Masaccio, Piero della Francesca, Carrà, Sironi, de Chirico. Richiama e risale, certamente, perchè c'è un'innegabile origine comune, un'unica visione di certi luoghi, di tempi, di forme, luci ed ombre; tuttavia Marcello Scuffi ha saputo farla propria, quella bolla d'anima, ed arricchirla.
Il matrimonio si è consumato da tempo, direi: Scuffi ormai non si rifà più ai grandi del passato. Scuffi ormai è. Piero in Scuffi, Carrà in Scuffi, Sironi in Scuffi: come una coppia rodata, che ha trascorso insieme più di quanto poteva immaginare e sperare nel lontano momento in cui è stato pronunciato il "sì".
"Così che non sono più due, ma una carne sola" (Mt. 19,6): una cosa sola, un'anima sola, quaranta estati e quaranta inverni, con il tramonto dal terrazzo, con la Gorgona che appare e scompare alla vista, con la sabbia e il vento, ed è bellissimo così. Il matrimonio tra Lia e Marcello è molto affollato, davvero! Forse dire "Lia Mantellassi in Scuffi" è più naturale che dire "Piero della Francesca in Scuffi"? Sono scelte per la vita, fatte e rispettate! Lia ha lo sguardo paziente di chi sa, e capisce; comprende che, sposando Marcello, ha accettato questa inusuale convivenza d'anime ispiratrici.

Come ogni artista dotato d'anima vera, anche Marcello Scuffi ha i suoi detrattori. E' giusto, guai ai tiepidi! Meglio amore e odio, sempre in coppia: entrambi nutrono, generano, stimolano al miglioramento. La critica più ricorrente che gli viene mossa è la monotonia dei soggetti, dimenticando tuttavia che il Novecento ci ha fatto toccare con mano l'immensità in un soggetto ricorrente, contemplando il rigore del vetro nelle nature morte di Giorgio Morandi.
Io guardo i dipinti di Marcello Scuffi, e non ci vedo monotonia, mai: ho visto quello stesso mare, quella sabbia, quel cemento, quei monti, mutare, negli ultimi dieci anni, come mai avrei potuto immaginare. Ho visto edifici sabbiosi lambiti da darsene blu, intense come pensieri tristi, a sorreggere barche che non riuscivano a penetrare quelle dense, drammatiche acque. Li ho rivisti, sempre loro, dissolversi in un vortice di grafite grigia, diventare lastre di ardesia, intere tele sfumate tutte su strati di un unico colore-non-colore, dove gli oggetti non hanno più forme: tutto è acqua, tutto è molo, tutto è barca, tutto è vela. Tutto, dolce malinconia.
Li ho visti, ancora e ancora, infuocarsi di rosso, di mattone e di ruggini, ardere pur rimanendo di ghiaccio, immersi in un'acqua che finalmente si liquefa, e subito sprofonda, luminosa. E, infine, proprio ieri li ho visti riapparire in mille sfumature di azzurri, lungo un bagnasciuga friabile; ho visto barche levitare su sabbie violacee, ho visto cieli indaco e ho sentito il calore emanare dalla tavolozza dei freddi. Ho voluto essere lì dentro, ho desiderato essere, anch'io, barca sotto la luna. Magari fosse per sempre, se il suo nome è monotonia!

"Meglio un quadro da diecimila che dieci da mille" è una delle tante, giuste regole dell'investimento per il futuro. Delle scelte oculate, da lasciare ai figli, ai nipoti. Quelle che ti permettono di essere ricordato, in famiglia, come uno che aveva saputo prevedere e capire, e magari ti fanno guadagnare un sommesso ringraziamento, dopo i fiori freschi di Novembre. Ma esiste anche un'altra regola, una regola folle, senza fiori, senza nipoti; una regola che è investimento per il presente, che è solo intuito, perchè il presente è solo tuo: "Anch'io, barca sotto la luna", adesso.

venerdì 25 dicembre 2015

Oggi parla.../22

... Giuseppe Ungaretti:

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui 
non si sente 
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

(Natale, 1916)


Ritorno al silenzio - seconda parte

Per i coraggiosi che si sono sorbiti tutta la prima parte, finendo a parlare di zampette tolte, viro subito sull'argomento "Arte", perchè anche lui ha subito le sue belle trasformazioni, negli ultimi quattro anni della mia vita. La rompo io, la seconda zampetta del tavolino, stavolta. Penso a Paolino Orler e alla sua fatidica domanda: "Avete già avuto il rigetto?", e mi chiedo se intendesse davvero "l'Arte" oppure se, per lui che ne ha fatto un lavoro, l'arte non coincida, in realtà, con il mercato. 
Ho un bisogno estremo, impellente, assoluto, di recuperare l'aspetto silenzioso, ovattato, da Museo, dell'Arte; l'aspetto contemplativo. E trovo una sinistra similitudine tra ciò che vedo diventato, negli ultimi tempi, il Circo Mediatico dell'Arte, e il mondo del calcio. Inteso come il diffusissimo sport in cui dieci scalmanati muscolosi vestiti uguali corrono dietro ad un pallone su e giù per un campo erboso, ostacolati da altrettanti scalmanati vestiti di colori diversi, per cercare di far finire il suddetto pallone dentro ad una porta retata difesa dall'undicesimo compagno, che se ne sta lì fermo in attesa del suo momento. Più o meno, ovviamente; in realtà ci sarebbe da definire ruolo per ruolo i dieci, perchè non tutti corrono nello stesso modo, anzi, alcuni vanno avanti ed altri no, ma l'ho detto per semplificare le cose. Mi piacerebbe leggere i primi trattati sul gioco del calcio, rigorosamente in inglese visto che il calcio (come migliaia di altre cose utili ed interessanti, nonchè di sport praticati a livello mondiale, nonchè le stesse assicurazioni) l'hanno inventato loro, spocchiosi ma geniali, per vedere come veniva descritto tecnicamente lo scopo originario.
Per un lungo periodo, io e mio marito siamo stati veri appassonati di calcio. Non di certo ultras, anche se io, personalmente, complice l'Infame che era uno dei capi ultras a Venezia, ho provato l'ebbrezza, negli anni della Serie A, di due incontri al Penzo nella curva dei pazzi scatenati, e per chi sa com'era fatta la curva del Penzo (vale a dire una struttura ondeggiante fatta di soli tubi in metallo, alta una ventina di metri, senz'ombra di pietre, cemento o altro materiale che ispiri una certa solidità) è facile capire che urlare, saltare, staccare i piedi dal seggiolino e farsi trascinare a mezz'aria dal mare di folla per novanta minuti è davvero un'esperienza al limite del mistico. Nel senso che ti rendi vagamente conto di cosa può essere la morte in agguato, ma non hai tempo di rifletterci sopra. 
Io, juventina giurata in eterno, e mio marito, interista midollare, eravamo appassionati nel senso del termine, che deriva da "passione". Varie esperienze di stadio tranquillo (il primo colpo d'occhio dell'immensità di San Siro gremito all'inverosimile non si scorda mai), panini al bar dotato di maxischermo tutti i fine settimana finchè il colesterolo ringrazia, successivo abbonamento a Telepiù e Stream (Sky ancora non esisteva), con ripristino dei livelli di colesterolo ottimali ma perdita del pathos dato da esultanza da bar con abbraccio a muratori sconosciuti di provenienza Est Europa, ma juventini.

Ricordo che ne avevo parlato anche qui, si vede che l'abbraccio al muratore era un ricordo "intenso":
http://trecose.blogspot.it/2012/03/normalita-e-quando-la-juve-batte-linter.html

Poi, col passar degli anni, ti rendi conto che qualcosa non va: si guarda sempre meno al bel gesto tecnico, al gioco di squadra, alle esultanze, e si parla, si parla, si parla.
A far da contraltare ai ventidue muscolosi scalmanati (che, nel frattempo, sono anche loro sempre meno "sportivi" e sempre più divinità mediatiche, tra tatuaggi, fidanzate, auto di lusso, biografie eccetera eccetera) ha messo radici una vera e propria orda di commentatori, procuratori, opinionisti, esperti, per non parlare delle Gnocche del Calcio (ogni programma di calcio deve necessariamente avere per contratto almeno una Gnocca, la quale anche se parla di calcio - magari leggendo da un foglietto, mi ricordo che all'inizio sbagliavano anche i nomi - è palesemente lì per tutt'altri motivi, in quanto se fosse un cozza terrificante non avrebbe mai ottenuto quel ruolo). E noi ci siamo disamorati del calcio, un po' alla volta. 
E' stata prima una leggera nausea, poi dei lievi conati, e il resto è da lasciare all'immaginazione di ciascuno. Certo, resto juventina nel profondo, sono e sarò sempre preda di una sottile esultanza ogni qualvolta la Vecchia Signora vince: domenica scorsa, ad esempio, stavamo facendo la spesa in Ipermercato sotto ora di pranzo per evitare la folla alle casse, e dagli altoparlanti invece delle solite musichette o delle loro offerte trasmettevano Juventus-Carpi (Ipermercato scelto con cura e dopo mesi di ricerche...). Al goal del 2 a 1 ho avuto un moto di gioia, il classico YESSS con il pugnetto chiuso, e ho spaventato una signora, nella corsia dei detersivi. Che discorsi, al cuor non si comanda. Però preferiamo di gran lunga concentrarci sul tennis, ad esempio, che resiste ancora con quell'aura vagamente da "tempio" (soprattutto Wimbledon o Parigi/RG), dove è impossibile assistere a scene da film gangster, i tifosi più scalmanati sono quelli che si lasciano scappare un estasiato OOOOHHH (mentre gli altri invece osservano in ossequioso silenzio), i commentatori sono a farla grande due, e quando era in servizio attivo la coppia formidabile Clerici-Tommasi ti facevi anche qualche sana ghignata. Grande il Gianni Clerici, lui lo odia il calcio, non mancava mai di ripeterlo, con qualche insulto non sempre velato al becerismo del tifoso-tipo del pallone con gli esagoni e i pentagoni.
Me compresa, se parlava di Juve.
Ebbene, con l'arte io sono arrivata più o meno allo stesso punto. Vorrei esistesse un Wimbledon anche per lei. Mi rendo conto che l'aver sdoganato - tramite da un lato Musei e Fiere di livello, e dall'altro dosi sempre più massicce di televendite - l'arte contemporanea in maniera totale e nazional-popolare (cosa che è assolutamente, di fondo, un bene, perchè il bello e lo studio dello stesso eleva le masse dal succitato becerismo) in realtà ha fatto sì che ora chiunque si senta autorizzato a parlare di arte con cognizione di causa. Anche se è un meccanico, un infermiere, o un impiegato del catasto. Tutte figure, intendiamoci, per cui io ho la massima stima nei rispettivi lavori, ma che a volte dimenticano che, come non ci si può improvvisare meccanici, non ci si può neanche improvvisare esperti d'arte. Bisogna STUDIARE, a fondo, e per anni. Perchè la comprensione dell'arte contemporanea arriva solo dopo la conoscenza approfondita di tutta la storia che l'ha preceduta, e questo è un dato di fatto. Inoltre, lo sviluppo spropositato dei social network e di tutte le piattaforme internet degli ultimi anni, ha fatto sì che chiunque sia in grado di usare un computer si possa infilare ovunque per dire la sua, a volte in modo corretto sia nella forma che nella sostanza, a volte sparando baggianate colossali, oppure (spesso) offendendo, o semplicemente cercando la polemica a tutti i costi, così come l'ultras cerca lo scontro in curva. 
E' successo anche a me su Trecose, molte, moltissime volte. Ci sono stati commenti gentili e costruttivi, condivisione piena di stati d'animo oppure scambi di vedute; e poi ci sono stati, fortunatamente rari, perchè io la polemica la smorzo in partenza, interventi rissosi e assurdi. Ma passi chi mi dice che detesta i pittori che io amo, per carità, siamo in un Paese libero, spero ancora per un po' (anche se non capisco come fanno certuni a dire che Marcello Scuffi è ripetitivo e, contemporaneamente, ad ammirare Morandi). Io non accetto che ci sia chi perde del suo tempo per entrare nel mio Blog per criticare, ad esempio, solo ed esclusivamente il fatto che io scrivo troppo, cosa che peraltro è assolutamente vera! Viste le miriadi sconfinate di gente che scrive nella blogosfera, ritengo logico che chi ama la sintesi si iscriva per commentare abitualmente scrittori di haiku. Ma perchè venire a rompere le balle a me rintuzzando la prosa sciolta, neanche fossi una che lega alla sedia la gente! Libertà, gente, libertà.
E questo lo noto, ripeto, sinistramente, tra i sedicenti appassionati d'arte, non tra gli altri. Tra i miei Lettori Fissi c'è il carissimo Tra Cenere e Terra, che gestisce in maniera mirabile e rarefatta il suo Blog di poesia. Non lo commenta mezzo mondo, ma chi lo fa generalmente è per un pensiero di condivisione, o un apprezzamento, o una nota gentile. Nessun poeta, nessun appassionato di poesia si sognerebbe mai di loggarsi per insultarlo, per dirgli che i suoi pensieri fanno schifo. Se qualcuno mai lo pensasse, semplicemente se ne andrebbe su altri Blog, più consoni al proprio modo di essere, vedere, vivere, sentire. E invece nell'arte contemporanea no, si creano le fazioni, si cerca lo scontro.
Ormai è storia la ben nota polemica ferragostana (con tanto di strascico legale) tra i supporters di Carlo Vanoni e quelli di Giovanni Faccenda, su pagine Facebook che anch'io posso leggere, pur non essendo iscritta a Facebook, perchè lasciate maliziosamente pubbliche. 
Io non entro nel merito di chi è più bravo di chi, ci mancherebbe! Il mio parere personale, comunque, è che 1) una polemica del genere fa male, a prescindere, all'Azienda che entrambi rappresentano, ed alimentarla o quanto meno non impedirla è sicuramente poco etico dal punto di vista dell'appartenenza ad un'unica organizzazione; 2) Giovanni Faccenda fa quello per cui lo pagano: vende quadri in televisione. Ne vende a bancali. Cosa poi dica o faccia per raggiungere lo scopo, ciascuno lo deve valutare e filtrare secondo le proprie attitudini, conoscenze o competenze (il famoso discorso di prima...); è evidente che chi mastica un pochino di pittura vede da sè la differenza tra un nome e un altro. Ma da Orler lo pagano per vendere, e lui vende. Se Carlo Vanoni è pagato per fare gradevoli lezioni di storia dell'arte e non per vendere quadri, questo io non lo so e non lo posso sapere; 3) perchè diamine ci cacciamo tutti ogni volta in questo bouchon? Cosa siamo diventati tutti, dei tifosi che saltano su tubi di metallo? 4) Il mio telecomando ha un tasto che permette di cambiare canale, stando peraltro comodamente seduti, se ciò che vedo in televisione non mi soddisfa... credevo che questa invenzione avesse varcato i confini del Veneto, evidentemente sono una privilegiata.
Recentemente mio marito è stato invitato da un nostro caro amico friulano a far parte di una Chat Whatsapp di gruppo sull'arte; a parte qualche commento estasiato iniziale, gli interventi sono pochissimi, giusto qualche segnalazione di Mostre in corso, tant'è che il mio sociologo scalpita un pochino. Abbiamo cercato di darci una spiegazione in merito, che prescindesse dalla ben nota pragmaticità al limite del mutismo dei nostri cugini friulani, e crediamo di averla trovata nel fatto che, dalle immagini postate, parrebbe che tutte queste persone non conoscano granchè di arte contemporanea (diciamo di viventi, ma anche di post-war, o addirittura semplice Novecento). Sono innamorati della classicità, del Rinascimento, del grande Settecento, e davanti a queste cose non c'è nulla da dire. Si sta zitti. Bocca chiusa, e contemplazione. Storia, tradizione, cultura eterne.
Anche perchè, attenzione attenzione, non esiste alcuno al mondo - neanche il plurinominato "magnate arabo" - in grado di acquistare un'opera di Michelangelo (per indisponibilità economica sua e per indisponibilità di vendita di opere di Michelangelo), e quindi qualunque giudizio non sarà mai falsato dall'aspetto del MERCATO. Dove invece esiste mercato, stravolge tutto. Parliamo di SOLDI, ragazzi miei, soldi, che fanno potere, che fa altri soldi, che fanno altro potere. L'Arte non c'entra un tubo se tutto deve girare intorno ai soldi. Ci sono svariate Gallerie, dotate o meno di canali televisivi (e quindi con più o meno visibilità a livello basico), ci sono svariati venditori, come in qualunque organizzazione che venda merce. E c'è quella immane schifezza che è - da questo punto di vista - internet, dove chiunque sia dotato di un modem si sente una divinità perchè può dire la sua al pari di chiunque altro (anche se uno è, puta caso, un professore universitario con anni di ricerca alle spalle, e uno invece vende automobili, o fa il geometra, o l'assicuratore, mi ci metto in mezzo anch'io, come vedete). 
Se facciamo la somma di tutti questi fattori ci troviamo davanti a uno stadio urlante, curva nord contro curva sud, infiammate solo dal tifo e dagli istinti più bassi. Ben che vada, se non ci sono tifosi, ci sono polemiche fra donnicciole. Artisti che vengono osannati da mandrie di fruitori solo perchè il venditore preferito li osanna, altri invece bistrattati o addirittura insultati per colpire l'imbonitore. 
Sputo un rospo grosso: va bene,  il Giovanni Faccenda venditore può non risultare simpatico a tutti, lo ammetto. Anche io lo preferisco in altre vesti. E' esagerato, istrionico (soprattutto se paragonato alla calma piatta di tanti altri), mi ha anche fatto andare per traverso i tenorini de Il Volo per tutte le volte che li ha fatti ascoltare. Ma che per colpire lui si dica che Armodio non è un pittore straordinario, per favore! Trovatemi chi sa dipingere come Armodio! Parliamo di bravura, solo di quella, non di mercato, di investimenti, di quotazioni. 
Oppure Marcello Scuffi: lo si potrà trovare malinconico nei soggetti, oppure ad alcuni potrà far storcere il naso come persona (politicamente di sinistra e sportivamente interista...), ma come non apprezzare la sua tecnica? Secondo me è uno dei pittori più completi e preparati tra i viventi in Italia, ma visto che è targato Orler, se sei contro Orler sei contro di lui. Se gli eredi di Salvatore Emblema non avessero fatto la cazzata di entrare nell'universo corbelliano, da sempre oggetto di strali, probabilmente oggi si vedrebbero contendere le tele detessute a palate di dollari. E potrei continuare per giorni. Che schifo. Un circo, un circo pompato mediaticamente, dove si grida, ci si agita, ci si insulta, affannandosi alla ricerca del colpaccio e perdendo di vista l'obiettivo dell'arte: bellezza. BELLEZZA. Serenità, pace, estasi, contemplazione, riflessione, emozione. Certo, anche linguaggio, innovazione e comunicazione (diamo ragione anche a Carlo Vanoni!), ma mai curva nord, mai istinti beceri, mai. 
Ecco, io ho bisogno di questo: ho bisogno di recuperare silenzio, di uscire dalle Fiere e dalle televendite, di entrare nei Musei, di aprire di nuovo i miei libri di Storia dell'Arte che sono in garage, nello scatolone post-trasloco con la scritta "Libri università". Non posso fare zapping e scoprire che hanno creato una specie di TeleGaudio, un canale (che in realtà si chiama TV Art Live) dove a qualunque ora del giorno ti sintonizzi c'è sempre e solo lui, G.G., di certo invecchiato ma ancora molto fascinoso, che spazia dal quadro al tappeto al gioiello usando sempre le stesse frasi! Una di queste notti devo provare ad accendere la televisione all'improvviso, io, che fino a pochi mesi fa non mi svegliavo neanche col terremoto; ma sto attraversando quella fastidiosa fase della vita femminile nella quale, durante le notti, sperimento escursioni termiche che il deserto di Atacama se le sogna. Mi alzerò, già nervosa del mio, e troverò G.G. in pigiama che presenta un'opera fondamentale, di un genio che è in tutti i musei del mondo, che non possiamo perdere. Mi fa paura, paura tanta. Chissà come lo alimentano, se ci sono dei sondini endovena nel microfono, se dorme direttamente dietro le quinte, o se ha una serie di cloni numerati in gradazione di abbronzatura. Per questo rompo la seconda zampetta. Non possiamo usare le stesse parole per Paul Jenkins e per il diciottesimo estroflessore; e poi ci sarà chi ha comprato il diciottesimo estroflessore che dà dell'idiota incompetente a qualcun altro perchè solo lui ha in mano il lume della verità, quello che permette l'arricchimento sicuro, quello che non commette errori.
Io so solo questo: Franco Ristori ha iniziato per una nuova stagione la sua serie di Tè, di appuntamenti mensili. L'ultima volta ero lì con lui (era appena scoppiato il Bubbone Banche), e sono entrati due signori un po' attempati che volevano adocchiare qualcosa - per quanto ho capito io, che cercavo di stare discretamente in disparte visto che parlavano di cifre, ma nel frattempo friggevo perchè volevo intervenire e ricordare come a breve la mania cinetica sparirà (è scritto) e torneremo al figurativo, come una ruota che gira eccetera eccetera. Volevano una sorta di bene rifugio, che piacesse e che contestualmente non facesse buttare nel cesso il poco salvato dal disastro-Banca. Mi sono passati davanti i miei lunghi quattro anni di Blog, i venditori di Telemarket, i venditori di Orler, di Vecchiato, di Elite, tutte le Fiere, tutti i Forum più o meno mal/educati. Friggevo, ho taciuto e ho ascoltato.
Ristori non parla tanto, anzi, a volte bisogna tirargli fuori le parole con le pinze, ed è un difetto che gli sottolineo spesso, perchè è importante comunicare, non puoi dare per scontato (o, peggio ancora, sperare) che la gente ti capisca - telepaticamente? - se non lo fai a fondo. A quei signori, però, lui ha detto solamente questo: "Per non sbagliare, intanto scegliete un nome che sia nella storia, che ci sia già nei libri. E poi, qualcosa che vi piaccia da guardare."
Tutto qui.
Smetto di parlare, perchè so che prima o poi, da qualche parte, altre Trecose rispunteranno fuori. Io le troverò, e voi mi troverete.

Ritorno al silenzio - prima parte

All'inizio mi era balenata per la testa l'idea di cominciare con qualcosa tipo "Cari amici vicini e lontani"; insomma, suppergiù. Però è pur sempre la frase famosa di un morto, magari non mi porta bene, e io invece voglio tanto che questo ultimo post abbia una buona, bella stella sopra, una stella con la coda luminosa, che fa tanto natalizio. 
Ultimo, sì, almeno per questa prima parte della mia vita, anche perchè non aveva senso lasciare Trecose lì tutto solo a languire, in uno stagno d'inedia, dopo quell'estivo post fugace con le fotografie dei cartelli strani. Io sono una molto meticolosa, mi piacciono le cose fatte bene: dopo tutto, Trecose è nato il giorno di Natale di quattro anni fa, per permettere alla mia vena scrittoria di lacerarsi e fluire fuori impetuosamente, portando con sè, fuori, anche qualche chilo di malinconie, tristezze, delusioni & affini. Trovo particolarmente simbolico riuscire a pre-pensionarlo (di questi tempi, una vera fortuna!) esattamente un nuovo giorno di Natale.
Che poi, a dirla tutta, visto che sono partita a ruota libera e parlo col cuore in mano, è come un cerchio che si chiude, in tutti i sensi ed i segnali del caso: l'avevo aperto a causa di una persona a cui avevo dato molto e che mi aveva ferito molto (scusate se rido, ero IO un'altra persona all'epoca,  se mi ricapitasse adesso la stessa situazione farei spallucce e lustrerei la corazza... anche se non sono sicura che sia un bene, per quanto inevitabile, diventare così cinici con l'età), e che da quel momento lì non avevo più rivista nè sentita. Fino a poche settimane fa. 
C'è stato giusto un rapido scambio di messaggi via Whatsapp (nemmeno Whatsapp esisteva diffusamente qua da noi, quattro anni fa) perchè la sua vita è giunta ad una svolta, ed evidentemente ha ancora il mio numero, come del resto io ancora ho il suo, senza fare gli ipocriti. Quattro frasi di convenienza (usa ancora sempre le stesse parole, ho notato, "ti" abbraccio, "ti" bacio, così personali e probabilmente così copia/incolla), quattro in croce, sul tempo, su figli e nipoti, sul futuro, che mi hanno fatto passare davanti agli occhi quattro anni in un attimo, velocissimi: li ho proprio visti a fotogrammi, come una pellicola da film sfumata sui bordi, come raccontano quelli che sono stati dichiarati clinicamente morti per un momento e poi sono stati acciuffati per i capelli e ricondotti alla vita. Il male cane che provavo, la decisione di mettermi a scrivere in un diario on-line, io che il computer lo odio e a parte Word e poco altro neanche so come si usa, la mia anima che ne esce fuori, i primi lettori incuriositi, le prime condivisioni, e poi improvvisamente quel lieve rigagnolo è diventato un fiume in piena, dentro di me. 
Dal punto di vista professionale, pian pianino è iniziata una mezza catastrofe (mica solo mia, è la stessa che ha colpito tutti i professionisti dei servizi negli ultimissimi anni, dopo che nei precedenti erano stati colpiti produzione e commercio, ma del resto è una ruota e si sapeva che doveva arrivare anche a noi, mica siamo l'oasi felice). Una mezza catastrofe che ha portato ad uno sprofondamento drastico e a decisioni importanti, dolorose. 
Dal punto di vista della mia passione per l'arte, al contrario, un'impennata vorticosa: Giovanni Faccenda che scopre che so scrivere, che pubblica roba scritta da me, che mi fa conoscere Armodio (ad esempio, ma non solo), l'Annamaria Brizzi che in diretta TV dice che mi sente come un'amica pur non conoscendomi, e poi quel famigerato post sulla mia avventura con Cagnola, che ha fatto un gran  casino in giro per mezza Italia, e per chi continua a chiedersi se hanno sporto denuncia: no, non hanno sporto denuncia, almeno non fino ad ora, ma dubito che possano farlo visto che ho scritto verità inconfutabili e comprovate. L'importante è cercare di essere corretti e divertenti, e mai polemici o rancorosi, comunque. La polemica e il rancore attirano gli avvocati come topolini sul grana grattugiato. Di sicuro un po' mi dispiace, perchè hanno avuto cosette interessanti, nel tempo, da Cagnola, ma non me la sono più sentita di alzare il telefono per farmi portare a casa qualcosa, credo che il mio nome sia finito in cima alla loro Lista Nera, come quella che hanno ben in vista i ragazzi dei tappeti da Orler, per la gente che ti fa andare dal Veneto fino in Provincia di Agrigento per poi dirti che "il tappeto è troppo blu" oppure "no, grazie, ma in salotto non ci sta" (misurarlo sempre prima, il salotto, magari!). 
L'arte che diventa la tua vita, la tua vita che diventa arte. Conoscere gente che mai avresti pensato, uno fra tutti il Maestro Franco Ristori da Firenze, uno generoso, uno che è in grado di cambiartela, la vita, se glielo lasci fare, con un filino di follia. E poi tanti commenti, veramente tanti, sia da gente sensibile e preparata come da chi non sa dove abiti il rispetto (e i congiuntivi), ma se ci siamo incrociati in un determinato punto e in un determinato momento delle nostre vite, anche con gli sgrammaticati, un motivo c'era, ed è stato bello così. Conservo il libro sulla vita di Schifano che mi ha regalato, facendomelo arrivare a sorpresa in ufficio, il primo Natale, Michele (che ora immagino chissà dove all'estero, come quasi tutti quei bei cervelli italiani di trent'anni), così come i tre libri del fine pensatore Antimo Mascaretti, che un pochino invidio, perchè anche se con sofferenza lui può davvero (per età, possibilità, situazioni) scegliere di isolarsi dal mondo e vivere di pittura e di rose, mentre io no, almeno così dice la Busta Arancione.
Anche se io e la persona dei Quattro Anni e delle Quattro Frasi, con ogni probabilità, non ci risentiremo più (quanto meno per i prossimi quattro, questo è sicuro), a quel punto ho realizzato che era ora di chiudere una porta. Non è detto che non ne aprirò un'altra, un giorno, anzi, direi per certo che lo farò, sotto un'altra veste. Ma questa qui andava chiusa, principalmente per due motivi che voglio spiegare bene a chi mi legge e ha pazienza, per capire che non è una decisione presa con leggerezza, ma ci ho riflettuto sopra. 
Innanzitutto, premetto che non potrei mai lasciare Trecose in mano ad altri. Dico questo perchè qualche mese fa si è aggiunta tra i miei Lettori Fissi una signora incredibile che si chiama Nella Crosiglia, di cui io peraltro non sapevo manco l'esistenza (e ci mancherebbe, noi blogger siamo milioni, e presumo che abbiamo tutti vite molto impegnate); è tipica del mondo dei blogger 'sta cosa: tu mi incroci, mi commenti, ti iscrivi tra i miei lettori, mi inviti a leggere il tuo Blog, e io ricambio e mi iscrivo tra i tuoi. Di solito la cosa finisce più o meno qua. Ma siccome io sono curiosa e testarda come una scimmietta, il "di solito" mica mi basta. Sono andata a cercare per il web chi cavolo fosse Nella Crosiglia, lei e il suo smodato amore per i cani, soprattutto quelli soli e tristi nei canili, e per la musica di ogni tempo (un connubio pazzesco e intrigante, e parla una che scrive di assicurazioni e di arte!), lei che ha ben oltre millecinquecento - vederlo scritto per esteso fa un certo effetto, eh - Lettori Fissi, che non sono propriamente come gli amici virtuali di Facebook, sono gente-che-legge-e-scrive-e-pensa. E lo fa CON TE. Un numero impressionante, meritava accurate ricerche; ho così scoperto che il suo Blog in realtà non era suo fin dall'inizio. L'ha "ereditato" da un'altra signora che non lo poteva/voleva portare avanti, che lo stava insomma lasciando morire d'inedia, che lo trascurava, perchè sono cose che capitano, se non hai una minima quantità di ore al giorno da dedicarci. 
Nella l'ha preso con sè, come un cucciolo da un canile, l'ha fatto crescere in maniera spaventosa, e senza cambiargli nome; semplicemente, travasando se stessa dentro quel che già c'era. Se da un lato ammiro il suo risultato, dall'altro mi fa tremare: io non potrei mai, e sottolineo mai, lasciare la mia creatura in mani altrui. Chissà se sono io che sbaglio, magari anche sì. 
Però è giusto il ragionamento: se non lo coltivi, o lo lasci a qualcuno o lo chiudi. E qui veniamo al punto: come tenere aperto un Blog che si chiama TRE-Cose-che-so se sparisce la prima delle tre? Impossibile. 
Notizia bomba, ad ogni modo; pare che ci stia riuscendo, e lo dico incrociando le dita, perchè non abbiamo ancora firmato niente, però direi che siamo a buon punto. Lo sviluppo della cosa è stato strano e buffo: era ben oltre un anno che avevo ufficialmente chiesto alla mia Mandante se aveva bisogno di un Agente da qualche altra parte, perchè valutavo seriamente l'idea di andarmene da questo Veneto uggioso, arrabbiato, perennemente di corsa e insoddisfatto, ma il mio Ispettore Commerciale - che non è più Zelig, per chi si ricorda dei miei post con Zelig, ma un distinto, pacato signore dalle tempie bianche e dal cuore gentile - credo ritenendo di farmi complimento gradito, mi aveva risposto che preferiva non perdermi - io Agente così bravo e onesto - dalla sua zona operativa (alle tempie bianche e ai cuori gentili noi Agenti perdoniamo qualche pietosa bugia). 
A volte le Mandanti non riflettono bene sul fatto che, se ti chiedo di trasferirmi altrove e mi dici di no, finisce che vado via lo stesso e magari sotto un'altra Mandante. Io sono andata ben oltre: non voglio più sentir parlare di assicurazioni. Misura colma, strabordante. Direi che si capiva abbondantemente, dai miei ultimi post in materia: potrei tirare avanti un annetto o due, ma visto che la mia Busta Arancione pone l'asticella diciamo tra più o meno un ventennio, dovevo dire basta. 
Basta a un mondo di iper-burocrati che ti spalma dieci circolari in ostrogoto a settimana, e ti parla e ti aiuta solo ed esclusivamente via ticket informatici. Basta a un settore in cui l'Assicuratore è sempre il cattivo e il Cliente sempre il buono, che anche per una questione di statistica non è possibile, o suvvia! Basta alle Compagnie, da un lato, che straripano di soldi per eventi, sponsorizzazioni e pubblicità, e poi cavillano sui cento Euro di un sinistro che ti fa perdere il Cliente. E basta, dall'altro lato, al Cliente che pur non capendo un'emerita cippa di assicurazioni (me lo tatuerei col sangue e lo ripeto: il 90% delle persone con cui parlo di assicurazioni e che crede di sapere tutto di assicurazioni in realtà infila una boiata dietro l'altra, un luogo comune dietro l'altro) si erge a so-tutto-io e rifiuta di affidarsi a un professionista serio. Basta all'Esperto. Basta a quelli della tiritera "c'è la crisi" per lacrimare sui dieci Euro di sconto, che poi trovi nel resort di lusso. Basta a chi si lamenta che i figli non trovano lavoro, ma poi fa tutto on-line (allora i tuoi figli falli assumere da Amazon e stai zitta, bella mia). Basta ai cialtroni, che quando ti sei sbattuta tre giorni di telefonate e un richiamo formale dal tuo Ufficio Sinistri per incaricare il Perito la notte di Natale, neanche capiscono di cosa parli e ti dicono che il carrozziere si è appena trasferito dall'altra parte della città. Basta alla cultura del risparmio a tutti i costi, che uccide la cultura della previdenza e della prevenzione.
Se tutto va come deve, tra due-tre mesi la mia Agenzia verrà accorpata in un'unica, grande realtà, assieme ad altre due. Mi do un anno di tempo, dodici-mesi-dodici, l'ho promesso ad una persona che se lo merita, una persona che ha ancora dei valori come i miei: una faccia di cui non vergognarsi e da mettere sempre sul piatto, unitamente all'impegno, e alla serietà. Una persona che, pur non conoscendomi, mi ha detto: "Lo faccio perchè credo che se io ti aiuto a realizzare questo tuo sogno, forse un giorno incontrerò qualcuno che mi aiuterà a realizzare il mio", e a quel punto io gli avrei messo in mano le chiavi di casa, non solo dell'Agenzia.
Il prossimo, sarà un anno in cui cercherò di fare in modo che i miei Clienti più cari si affezionino a queste persone nuove, e possano - un domani - dimenticarmi, anche se in fondo solo a pensarlo mi fa venire da piangere. Un anno in cui cercherò di trasmettere tutto lo scibile che ho maturato in venticinque anni di gestione agenziale (uno scibile molto prezioso, di questi tempi, un sapere che va oltre la mera vendita) ad una decina di signorine volonterose ma disorganizzate, per vedere se magari, tra di loro, trovo un paio di "me" da far crescere. Che sfida. Mi stancherò come una bestia ma probabilmente mi divertirò anche. E poi si vedrà, se dovesse tornarmi la voglia potrei anche decidere di ripensarci e restare. Per ora la vedo dura, e se togliamo una zampetta delle tre al tavolino di Trecose quello viene giù. 
E adesso passiamo alla seconda zampetta.

domenica 30 agosto 2015

Oggi parla.../21

... il Cartello Buffo:



Beh, qui partiamo col botto. E' relativamente vicino a casa mia, ma vi assicuro che io non c'entro niente. 
Un classico, classicissimo del Comune dove abito, vengono a fotografarlo dalle Regioni vicine (un consiglio: quello a Nord, in ingresso verso Venezia, è molto meno sbiadito di quello a Sud, in direzione Treviso), all'epoca ci siamo fatti ridere dietro da mezza Italia ed è stato ripetutamente pubblicato un po' ovunque, da Quattroruote a Famiglia Cristiana alla Rivista della Bocciofila Laziale. Varcando i confini comunali sud, quindi entrando nella ridente terraferma veneziana, il divieto sparisce: lo si capisce dagli assembramenti nei parcheggi e dietro gli alberi, impossibile sbagliarsi. 
Concepito (ops, che verbo!) per togliere dalla famosa Via Terraglio la lunga fila di signorine, una per albero (nota geo-biologica: c'è un albero ogni venti metri), mi sono sempre chiesta perchè non avessero precisato che il divieto vale solo per le "discussioni stradali". Già mi immagino l'intimità dei talami dei miei concittadini: "Caro, non stasera, ho mal di testa... però se mi prometti che domani porti tu fuori il cane potrebbe passarmi" e zac! Il Vigile salta fuori dall'armadio e sono cinquecento Euro che se ne vanno. 
Per inciso, io non ho il cane.




Dopo il clic all'imbocco di questa bella, liscissima Piazza in un noto Comune toscano, ho chiesto lumi ad un passante, ignaro, che ne ha fermato un altro, e poi un altro, e un altro ancora. Arrivati a circa una dozzina, oltre a prenotare un tavolo in pizzeria già che c'eravamo conosciuti, abbiamo fatto ricorso a Google scaricando il Codice della Strada. Non che la Piazza pullulasse illegalmente di Tavole a Vela, comunque... (l'ho scritto solo perchè mi piaceva il congiuntivo).



Non so voi, ma io conosco almeno una dozzina di gatti che avrebbero qualcosa da ridire.
O da inorridire.



Questa è facile da intuire, quindi niente suggerimenti o battutine, ci dovete arrivare da soli. Mi piaceva anche il tentativo di rima.




Sono andata a trovare una mia amica e questo era affisso nella bacheca; ho cercato di tagliare la parte bassa, per rispetto al nome dell'Amministratore che l'aveva scritto e firmato, visto che lo conosco perchè ho in portafoglio due-tre Polizze di Condomìni amministrati dal suo Studio. 
Anzi, la prossima volta che lo sento mi devo ricordare di chiedergli (giacchè mi risulta, in questo mondo in continua evoluzione e movimento, che la sintassi italiana sia sempre la stessa da quando frequentavo le elementari) come fa lui a tenere al guinzaglio uno spazio comune condominiale. 
Lunghi anni di pratica.  

AGGIORNAMENTO del 03/09/2015:
La mia mamma ha visto questo post, e mi ha mandato una chicca via sms.
Pare che durante la Seconda Guerra Mondiale mio nonno Tano (sempre lui, proprio lui, quello nato a Palermo e bravo a disegnare) tra le tante destinazioni sia passato anche per Cuneo, dove c'era un capitello dedicato alla Beata Vergine recante questo cartiglio: Maria Assunta In Cielo A Spese Del Comune (lo ammetto, non tutto di seguito, ma su due righe). Ovviamente niente foto, ed è un peccato, ma era un'immagine troppo bella per non concretizzarla qui con voi.  
Vuoi mai che ci sia qualche amico da Cuneo o dintorni che mi sappia dire se il capitello comunale esiste ancora, o mi mandi una foto "di una volta" ...  

sabato 29 agosto 2015

Fotografie di vita

Di solito, io in Agosto cazzeggio. Tecnologicamente parlando.
Per riprendere la coda del mio ultimo post, mi comporto davvero come quei surfisti destinatari di tutta la mia più viscerale antipatia: nel mio tempo libero, che improvvisamente ad Agosto si impenna (gli piace vincere facile, comunque, visto che di norma nei restanti undici mesi rasenta lo zero... a quel punto anche due misere orette giornaliere rappresentano una folle impennata), saltello da un sito all'altro senza una meta come una capretta al pascolo. 
Siti di libri, siti di autori di libri, l'immancabile Ebay per vedere cosa combinano i collezionisti delusi di arte contemporanea, siti di viaggi, di località che vorrei visitare, siti di alberghi a quattordici stelle nelle predette località (man mano che invecchio, divento sempre più sensibile all'albergo di lusso; campeggi e ostelli mi facevano un po' schifo anche in gioventù, ma ora è diventato proprio un piacere carnale soggiornare, anche una notte sola, in un hotel come si deve). Siti di curiosità, di assicurazioni, e di scarpe, che per un essere umano di sesso femminile sono come la droga. Blog di gente che conosco e frequento, o che ho conosciuto tempo fa e non frequento più, i blog e i siti di chi mi legge. Siti di Gallerie d'Arte in genere. Video di cuccioli di cane. Di cuccioli di tigre. Di cuccioli di orso. Video di donne imbranate a parcheggiare (mi sento lievemente condannabile per poca solidarietà, ma mi piacciono proprio, e di materiale ce n'è fino alla prossima glaciazione).
A volte digito cose a caso, anche senza senso se capita, per vedere che fa Google, cosa mi presenta. Lo faccio ogni estate, per vedere com'è cambiata la rete da un anno all'altro, e cambia sempre.
Tre anni fa era stato proprio durante una di queste surfate che avevo conosciuto il Blog di poesia del carissimo Tra Cenere e Terra; avevo digitato "Rilke", ci sono cascata dentro ed era bellissimo. Mi sono iscritta subito, e lui da me, gentilmente ricambiando. Avere un blog aiuta il saltellamento, perchè siamo tutti legati, io e i miei lettori fissi (quelli ufficiali e quelli nascosti), e i lettori fissi dei miei lettori fissi, in un unico abbraccio che gira intorno ad un'emozione.
Questo Agosto ho fatto un'altra scoperta, e dal momento che questo è un post da cazzeggio in un mese da cazzeggio ve ne parlo. E ve ne parlo bene, come di tutte le persone che, in vari modi, mi colpiscono. Avevo digitato "non voglio più fare questo lavoro" (d'istinto e senza pensare), che detto così rivolto a Google è un obbrobrio, di quelli che nelle Statistiche dei Blog fanno quanto meno ridere; intanto manca un minimo di punteggiatura (cos'è: un'affermazione o la ricerca di una domanda?), e poi cosa vuoi che ti mostri un motore di ricerca, a parte - se sapesse ragionare - un generico: "e allora??". Cos'è che vuoi sapere, esattamente?? "Questo lavoro" quale?? 
Google non sa che questa frase (così, secca, senza punti particolari) è un tormentone tra me e mio marito a casa, tra me e le mie Ragazze in ufficio, da molti mesi ormai. E' un tormentone velato di tristezza. E' una decisione che ho preso, che ha preso il mio corpo per me prima di farmi scoppiare, che ha preso la mia mente, il mio cuore, il mio spirito. Credo fosse abbastanza evidente, trapelasse da molti dei miei ultimi post ad argomento assicurativo. Dispiace, in effetti, che io voglia smettere, perchè sono ancora convinta di essere proprio brava, nel mio lavoro. Infatti sto facendo le cose con tutta la calma del mondo, non ho bisogno di chiudere baracca e burattini dopodomani. Ma sono convinta che sia diventato un lavoro a termine, con tempi medio-lunghi, ma a termine. 
Da una parte ci sono stati questi ultimi anni (odio dire "di crisi", perchè è dare un alibi a decisioni globali, a mutazioni che con la crisi non c'entrano un tubo, ma per lo meno identificano un periodo definito nel tempo), che hanno visto sgretolarsi l'idea stessa di prevenzione, hanno visto sparire una certa cultura assicurativa che si era formata con fatica in cinquant'anni, dal boom economico dei Sixties in qua. Ora come ora alla gente non importa un accidente di assicurarsi. Minimo del minimo del minimo. Clienti miei, benestanti, proprietari di SVARIATE CASE, che non le assicurano più, così, senza motivo, giusto per risparmiare quei duemila Euro che servono per un pieno di gasolio alla barca. Padri di famiglia, con bambini piccoli e mogli che non lavorano, che quando li implori di sottoscrivere una Puro Rischio del costo di EURO 118 ANNUI ti rispondono "ci devo pensare, sono bei soldi, ne parliamo quando torno dalle ferie". Società che, con il cambio generazionale, vedono arrivare nelle stanze dei bottoni i rampolli tecnologici, che non hanno quel senso etico, quella dirittura morale che deve possedere chi governa un'Azienda che fattura milioni: i dipendenti sono persone, e diventano numeri, l'assicuratore è il consulente di fiducia (come l'avvocato e il commercialista), e finisce che uno vale l'altro. Sei "al loro servizio", e pretendono di trattarti da SERVO. Perchè al servizio, in realtà, nessuno dà più valore, e questo lo vedo in generale: nessuno vuol pagare per qualcosa DI PIU' che non sia tangibile. Il pane lo mangio, va bene. Le sigarette le fumo, vanno bene. I pantaloni fighi li esibisco, vanno bene. Pagare per una persona di fiducia non ha più un senso compiuto (neanche pagare le spese condominiali, comunque, neanche quelle si toccano con mano). 
Dall'altra parte ci sono queste nuove Compagnie, nate da fusioni di fusioni di fusioni, che non mi rappresentano più, non sono la mia faccia. E io, di sicuro, non sono la loro. Buttano via palate di denaro in campagne pubblicitarie, sponsorizzazioni, giochini e gadgets di ogni tipo, e poi perdono Clienti da migliaia e migliaia di Euro perchè i liquidatori non hanno una flessibilità da duecento Euro su un sinistro "col dubbio". Sono sorridenti, gentili, disponibili, danno del tu a tutti - atteggiamento molto americano che a me, personalmente, dà un po' fastidio, ma in genere piace - ma di assicurazioni (clausole, tecnica, a mio modesto parere neanche un minimo di marketing assicurativo di base) non capiscono granchè. 
Vedete bene che non ho parlato per nulla della concorrenza, che sia di Colleghi in carne ed ossa piuttosto che di telefoni, computer o altri supporti: non c'entrano. 
Il mio è un disagio che nasce dalla pancia. Sono un assicuratore palombaro, non ce la faccio ad adeguarmi alla mutazione che svilisce ogni forma di professionalità (e anche di EDUCAZIONE: quest'anno una persona che si straprofessava mia amica ha cambiato Compagnia senza dirmi niente, l'ho saputo dal Database dell'ANIA. Nessun messaggio, neanche una mail, un sms. Ma costa davvero così tanto? Vogliamo permettere ad un Decreto Legge di annullare ogni tipologia di rapporto umano, anche la semplice gentilezza?). 
Secondo me, a naso, nel corso dei prossimi dieci anni e non di più, assisteremo allo stravolgimento delle Agenzie di Assicurazione, che sostanzialmente spariranno (uh, sai quanta gente a spasso, poi!): ne rimarranno poche, e molto grosse, che gestiranno principalmente poli aziendali (piccole e medie aziende artigianali e commerciali, qualche azienda produttiva grossa che non si fida dei Broker, grandi professionisti con cui fare accordi di scambi "commerciali"). La massa dei privati farà tutto direttamente on-line, perchè il loro "tutto" sarà principalmente la RCA obbligatoria nuda e cruda (e non perchè on-line costi meno, ma perchè è indubbiamente, per molti, più comodo), vuoi perchè non hanno soldi da destinare ad altre coperture, vuoi perchè li hanno ma non hanno la minima intenzione di destinarli a questo. E' più figo fare altro.
Ma non voglio tediare ulteriormente il lettore agostano con i miei patemi professionali. Succederà, prima o poi. Se non sarà l'anno prossimo sarà quello dopo, o quello dopo ancora. Farò altro, che sia vendere quadri di paesaggi ai turisti nel centro storico, o supportare mio marito nel sogno di aprire un Circolo Biliardi tutto suo. O magari prendo un franchising e imparo a fare i gelati. Nel frattempo, ecco che esce il tormentone, come un bip, ogni volta che lo spirito ne ha bisogno e vuole essere sicuro che non cambi idea, magari solo per questioni economiche, che hanno sempre il loro appeal. 
Digitando la mia frase-tormentone sono caduta in un Sito di un ingegnere di Pavia, Ingegnere Elettrico per la precisione, nel quale ho ritrovato tante delle mie sensazioni. Dopo qualche breve piluccamento qua e là, visto che mi stava simpatico ho fatto diligentemente quello che il carissimo Roberto da Bisceglie ha fatto con me e Trecose: ho cominciato dall'inizio e l'ho accompagnato fino ad oggi. Magari è per il fatto che ha più o meno la mia età (un pochino meno in verità, ma POCO meno!), e quindi il background è più o meno lo stesso (siamo stati adolescenti negli anni Ottanta, siamo cresciuti nei Novanta eccetera), ma l'ho trovato immediatamente intelligente, ironico, acuto. Non è che ci abbia tanto in comune, sotto sotto, visto che lui essendo Ingegnere Elettrico espertissimo di IT parla una lingua per me pressochè incomprensibile. Ha cambiato una valanga di posti di lavoro, scalando sempre in meglio, come tipico di un bravo Ingegnere esperto di IT in un mondo che ha fatto dell'IT uno dei suoi fondamentali pilastri. Altro che una Laurea in Lettere ancorchè ottimamente conseguita, che ti apre la mente, ti insegna a pensare, ti prepara a qualunque contatto umano, ma vale molto-ma-molto-meno di un diploma da pasticcere per trovare un lavoro OGGI. Ha anche due bei bambini, altra cosa che io non ho. 
Cosa ha combinato questo benedetto ragazzo: niente di stratosferico, tutto di stratosferico. 
Ad un certo punto della sua vita, ha sentito che dodici ore di lavoro, il panino al posto del pranzo, le riunioni alle ore più assurde, otto aerei da prendere nel giro di una settimana, salutare la famiglia solo via Skype lo stavano facendo morire dentro. Ha mollato tutto e si è messo a fare il fotografo professionista. C'è da dire che la fotografia era una sua passione anche prima, intendo dire che sapeva fotografare a livello professionale per hobby, perchè non è che uno si improvvisa fotografo dal nulla, altrimenti mi do la zappa sui piedi da sola, a predicare la professionalità. Un conto è provare un certo piacere a tenere una macchina fotografica in mano, come la sottoscritta (che comunque mantiene un buon livello di empatia con i fotografi, soprattutto i ritrattisti, probabilmente perchè sanno "leggere" anche loro l'anima delle persone dentro agli occhi, come i pittori bravi), avere un minimo di quel che si dice "l'occhio" (sì, mi piace immaginare di fermare l'attimo, QUELL'attimo, in un rettangolo), sapere che se inquadri il soggetto nel centro della foto invece che in uno dei terzi laterali molto probabilmente la foto farà schifo, e un conto è fare il fotografo per lavoro. La mia ultima reflex andava ancora a pellicola, tanto per capirsi. Lui per hobby parlava una lingua digitale.
Ha però trasformato l'hobby in un lavoro, aprendosi la Partita IVA, e facendo un percorso in cui, con somma tenerezza, io ho letto il mio, tal quale. I primi tentativi di farsi pubblicità col banchetto e la musichetta nei Centri Commerciali (pagando, anzi, cercando di pagare anche la SIAE, che nemmeno la SIAE sa come fare...), con risultati zero. La passione, quella vera, che ti fa lavorare quindici ore al giorno invece delle dodici di prima. I guadagni miserrimi all'inizio, poi sempre meglio (beh, su questo la mia parabola è stata inversa...). L'approccio al Cliente, uguale uguale spiaccicato al mio, che ho in ufficio il frigobar, e le caramelle, e la macchina del caffè Dolce Gusto, non le schifezze con la chiavetta da grande distribuzione. Il lasciarsi coinvolgere dai sorrisi dei Clienti, dalle loro vite, dalle loro storie. I matrimoni, i ritratti, i corsi. Le iniziative commerciali, i passaparola. La ricerca di collaboratori a cui piaccia lavorare, possibilmente dotati di macchina fotografica (sembra assurdo, ma come lo capisco, cielo, se lo capisco!). L'essere obiettivamente felice del fatto che la fotografia non sia più appannaggio di pochissimi eletti, e che molti giovani, tra smartphone e compatte, usino dilettarsi in scatti al gatto di casa o alla morosa nel parco, così saranno in grado di capire e di gustare la prestazione di un professionista appassionato. La mia stessa pia illusione, in questo: bene, dicevo, che la materia assicurativa sia ovunque in rete, così la gente non si farà più fregare, avrà un minimo di informazione di base in più, e apprezzerà al meglio il mio lavoro di consulenza. Col cavolo. La gente, la massa, non vuole questo. Vuole una prestazione basica, e che costi poco. Una sveltina, insomma! E' come sostengo io, nel mio settore: ci trattano come donnine allegre, a quello serviamo. Donnine in Social, tra l'altro, perchè solo lì c'è il passaparola, qualunque altra forma di pubblicità non serve. In ufficio a volte capita che non riusciamo a rintracciare un Cliente per qualche comunicazione urgente (arretrati, sinistri, scadenze, qualunque cosa), non risponde alle mail, ha cambiato cellulare: lo contatti su Facebook e risponde in tre secondi. Io non sono su Facebook, non lo sopporto. Sarò costretta a cambiare idea, a uniformarmi a questo enorme contenitore? Davvero un ragazzino americano brufoloso ha tracciato il futuro della comunicazione dell'intera umanità?
Tornando al mio eroe, ha tenuto botta quattro anni, meravigliosi per chi se li fa scorrere sotto al mouse tutti d'un fiato. Fa, peraltro, fotografie bellissime, a mio personalissimo gusto. Odia le schifezze finte tipo Photoshop. COGLIE, o quanto meno ti fa sembrare che abbia colto, con un gran lavoro sotto, che per me che guardo è lo stesso, anzi, anche meglio, così apprezzi l'inventiva. Cose, tante, che piacerebbe fare anche a me. Ha un po' le sue manie, come abbiamo tutti: fare foto alle scarpe delle spose, per esempio. E riprendere, nei ritratti, spesso dall'alto. Averlo scoperto prima, avrei pagato volentieri quel niente che chiedeva per una serie di scatti personalizzati, in qualche bel posto, con tanto di trucco e parrucco. Bravissimo, anche se non gli piace lavorare in seppia, chissà perchè (io lo trovo affascinante, sa tanto da deserti lontani e fumo in qualche angolo dell'anima).
Dopo quattro anni, ha mollato; l'anno scorso ha fatto nuovamente una firma su un contratto con mansioni del tipo che serve una traduzione da parte di un appassionato di informatica, quindi non guardate me. Forse i ricordi della tangenziale di Milano paralizzata dalle code erano ormai un ricordo troppo sbiadito, o non gli si strizzava più lo stomaco al pensiero di strisciare il badge. L'ansia si autoelimina, col tempo. Chi lo sa. E' la sua vita, e lui la vive, la condivide, perchè il Sito l'ha tenuto, anche se lo aggiorna di rado (e gli dispiace pure, un po' come a me per Trecose, vorrei essere ancora tutta qui, e invece il "poco e spesso" non sembra appartenermi). Secondo me tra un po' scoppia di nuovo, anche se ammetto che due bocche da sfamare possono, all'occorrenza, rendere improvvisamente pragmatici. 
Io mi ci sono rivista tutta in un colpo, con le mie insofferenze, i miei sogni così e così (intendo, non così assurdi da non poter essere realizzati, ma non così semplici da potersi realizzare subito e in breve tempo), il mio sentire dentro che c'è ancora una strada lunga davanti, e non posso solo "vivacchiarla" aspettando qualcosa di indefinito. La consapevolezza che non è facendo sempre le stesse cose che facciamo cambiare le cose. Certo, torniamo al fatto che lui è un Ingegnere Elettrico in gamba, e in certi casi basta mettere il naso fuori della porta, adattandosi un po', trovi subito chi ti piglia. Nel mio caso, se mollo l'Agenzia, indietro non si torna; e figuriamoci se un domani torno a fare la dipendente per chi, adesso, è mio Collega, e magari anche deficiente. Sempre posto che non salti tutto il sistema, come dicevo prima. Però 'sta voglia di cambiamento è devastante, accidenti.
Insomma, se vi va, andate a salutare Massimo su www.ciccio.it; sì, lo so che il Sito ha un nome un po' che non diresti (tanto valeva che scegliesse Goldrake o roba simile), ma ne vale la pena, soprattutto se amate la fotografia fatta bene. Lui è simpatico, è perso per sua moglie e i suoi bambini, scrive che ogni tanto strappa la risata, ed è pure carino (questo lo dico solo perchè sono più vecchia, quel POCO che basta perchè non sembri un interesse personale). Ditegli che lo saluto, perchè a modo suo ha reso migliore il mio cazzeggio del Duemilaquindici.

domenica 16 agosto 2015

Se lo dice l'Esperto

Esperienza:
Conoscenza diretta, personalmente acquisita con l'osservazione,
l'uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà
(def. Vocabolario Treccani)


In fondo, sono convinta sia del tutto normale. Come ci sono parole che mi piacciono, che amo, che cerco (per la loro sonorità, per come la voce scorre via quando le pronunci, per la forma che prendono le labbra, e ovviamente per il loro significato, per ciò che rappresentano in se stesse e nella mia personale esperienza di vita), ce ne sono altre che non sopporto, in modo viscerale. Roba da innervosirmi di brutto quando sento che qualcuno le sta pronunciando.
Ultimamente, una di queste ultime è "esperto". Già a vederla scritta, da me, ringhio un pochino. 
Parte tutto dalle mie fissazioni per la pubblicità, che sia su carta stampata, in radio o in video. Devo averne fatto accenno in più di un post dei primi, quando indugiavo nel raccontarmi, un po' alla volta: se non avessi fatto l'assicuratore credo mi sarei buttata nel mondo della pubblicità. Che poi sarebbe stato un mestiere assolutamente fattibile per una con la mente sveglia ed una laurea in Lettere agli albori degli anni Novanta, intendo, non si limitava ad essere il solito sogno stile "farò l'arredatrice di interni" - diciamo che io non sono mai stata tipo nè da astronauta nè da ballerina, chè sul primo soffro di vertigini e sul secondo non ci ho il fisico. Prima dell'Università confabulavo di giornalismo o affini, ad esempio. Più prosaicamente ho anch'io tentato (in modo del tutto furtivo, quasi in incognito) la strada dell'insegnamento, in coda dietro a centinaia di nomi con la stessa Laurea, fin quando la momentanea futura suocera, che lavorava appunto in un'Agenzia di Assicurazioni, non ebbe bisogno di me per riordinare qualche archivio. Il più classico degli "in attesa di..." che diventa la vita reale. Niente arredamento d'interni su settimanali patinati, dunque, anche se sospettavo che arrivarci sarebbe stato un po' complicato, ma niente anche al mondo della pubblicità, che continua a popolare e a pungolare la mia mente, sia per un interesse personale sia perchè, avendo io sposato un sociologo dilettante, grazie a lei il dialogo non langue. Anzi, ci sorprende sempre. Che siano pubblicità orribili o ben fatte, storie assurde o ben congegnate, con un testimonial che valga il suo ruolo oppure pagato per niente, è indubbio che dalla pubblicità si ricava un profondo spaccato mica da ridere della realtà quotidiana. Dei giovani, degli anziani. Di dove la gente mette i soldi. Di cosa cerca, di cosa detesta. E' pazzesco quanto bravi siano, certi pubblicitari, ad interpretare "la massa", addirittura, in alcuni casi, ad anticiparla, a muoverla, a condurla dove vogliono loro.
Torniamo alla mea con l'"esperto". L'Esperto è dappertutto, indipendentemente dalla categoria merceologica. Per quanto riguarda il mio settore, l'Esperto se ne sta tutto incellofanato nel portabollo, pronto all'uso in caso di incidente. L'avrete pur vista, no, la pubblicità di una nota (e tra l'altro ottima, intendiamoci, non denigro il suo Esperto per concorrenza!) Compagnia diretta (per i profani vuol dire che non ha Agenzie, cioè di quelle contattabili solo via telefono o via computer), la quale tra i suoi servizi sottolinea come compreso nel prezzo ci sia l'Esperto Incidenti da svegliare dal coma della sua bustina ventiquattr'ore su ventiquattro. Tu hai cannato uno Stop alle due di notte, sei entrato nella portiera di quel povero disgraziato che ha avuto la sfiga di passare di là a quell'ora, e dal buio si materializza l'Esperto. Davvero, puoi telefonare, anche a quell'ora, per sentirti dire che hai torto marcio. Oppure, se sei tu il povero disgraziato della portiera sfondata, sentirti dire che hai ragione, ma muoviti a compilare la Constatazione (o in extremis ad annotarti la targa del colpevole), perchè altrimenti se questo se ne va non si combina un tubo. Grande Esperto. In fondo la Constatazione Amichevole è un foglio con delle caselle da riempire, basta rispondere, può farlo anche un bambino delle elementari; il problema viene dopo, cioè sull'interpretazione di quei dati, ma nella pubblicità si vede solo la prima parte della faccenda, con l'Esperto alla luce fioca dei lampioni che sorride indicando i punti d'urto e dicendo "tu hai ragione, tu no, mi dispiace, hai torto". Godrei nel sapere cosa ti rispondono alle due di notte se chi ti ha sfondato la portiera è un'auto con targa straniera che magari non risulta nemmeno assicurata. 
Ma mica solo di assicurazioni si occupa l'onnisciente Esperto, figuriamoci. Ci sono valanghe di Esperti di roba di Banca, in pubblicità di tutte le sponde, e sorridono tutti come dei matti. C'è l'Esperto per lavarsi i denti (secondo me va in stocca con l'Esperto di Banca, visto il suo sorriso smagliante). C'è una marea di Esperti di automobili, o meglio di motori in genere. Sono sicura che, da qualche parte, c'è un Esperto anche per scegliere il melone al supermercato, così la smettiamo di portarci a casa robaccia che quando la apri è dura, ancora verde, e non sa di niente. Esperti di animali, esperti di profumi per l'ambiente. 
Quello che mi punge, e mi punge, e mi punge, è PERCHE'. Posto che io ho una venerazione per i pubblicitari, visto che l'imbroccano sempre, do per scontato che questa cosa dell'Esperto sia effettivamente quello che "la massa" vuole, e non posso che chiedermi perchè. Perchè c'è bisogno del cartellino "esperto", innanzitutto.
Anche io, personalmente, ricorro a PERSONE CHE ABBIANO ESPERIENZA (detto così suona un po' diverso) in un determinato settore se devo fare una scelta, è ovvio. Ma la citata esperienza la giudico a occhio, in base alla MIA, di esperienza, sul genere umano: se uno è realmente o no esperto di qualcosa lo vedo da come ne parla, da come approfondisce l'argomento, dalla varietà di esempi con i quali lo correda, magari - mica sempre, non voglio sembrare prevenuta - se ha o meno le tempie grigie (salvo su argomenti di tecnologia informatica, lì degli sbarbini mi fido ciecamente). Insomma, non ho bisogno di un cartellino! Non me ne frega niente della qualifica, perchè l'esperienza è, in fondo, esattamente l'opposto... o no? 
Si può essere "esperti per definizione"? 
Comprare l'esperienza? 
Faccio un mero esempio: quand'ero ragazza ho assistito al nascere e al proliferare dei primi Centri Commerciali, quelli enormi, luminosi, dove andare a passeggiare col moroso quando non si sapeva dove altro andare per passare il tempo. Per quanto anonimi e devastanti per il piccolo commercio locale, hanno dato lavoro a un sacco di gente. Una volta, all'interno di uno store che poteva essere l'antenato degli attuali Castorama, Leroy Merlin, Brico Center e così via (il moroso dell'epoca era un patito del bricolage, motivo per cui io ora lo detesto con tutta me stessa - il bricolage, non lui), ho fermato un giovanotto per chiedergli informazioni sulle tende alla veneziana. Era una carognata, in verità, perchè io non avevo assolutamente idea di comprare tende, nè veneziane nè di altra provenienza, e quindi alla fin fine sapevo che gli avrei fatto solo perdere tempo, ma ero estasiata dalla corsia delle tende, di tantissime forme, materiali e colori, quando fino ad allora (sfido chiunque tra i miei coetanei a dimostrare il contrario) le lamelle delle veneziane di tutte le case del mondo erano solo verdi pisello, e larghe quel tot che bastava per stare tra la persiana e l'infisso. Il cuore dell'arredatrice di interni batteva all'impazzata. Il baldo giovanotto (cioè l'Esperto di Tende) ha iniziato un discorsetto mandato platealmente a memoria, e quando l'ho interrotto con una domanda chiusa (facile, basta rispondere o sì o no) l'ha ripreso esattamente dal punto in cui si era fermato (tra l'altro senza il verbo, che stava nel tronco di frase pre-domanda, quindi senza un po' di memoria da parte mia rischiavo comunque di non capire niente). L'allegro siparietto si era poi ripetuto più di una volta (ho già ammesso che era una carognata, tanto valeva farla completa). Questo perchè il giovanotto non era per niente un Esperto, ma semplicemente un Addetto al reparto tende. Mica c'è di che crocifiggerlo, è solo che le parole hanno un loro peso. E vanno rispettate. Il fatto di prendere un ragazzino appena uscito dalle Scuole Superiori, volonteroso quanto basta, inculcargli a memoria un pistolotto sulle nuove tende, non lo rendeva automaticamente esperto. 
Mi si può obiettare che era moooolto tempo fa, sono passati tanti anni (tanti, sì, veleggiamo quasi verso i trenta), adesso è tutto diverso, c'è più concorrenza, c'è più attenzione. Col cavolo. Ditelo a mia sorella, che qualche mese fa è andata da Mediaworld perchè le serviva una macchina fotografica con un teleobiettivo degno di questo nome, e si è trovata ad interloquire con una bella ragazza (addetta e/o esperta di macchine fotografiche, visto che stava al reparto) che alla sua richiesta della Tal Apparecchiatura con il Tal Tele le ha detto, testualmente: "E perchè invece non si compra questa, che è pure in offerta, e ha un bel grandangolo?". Mia sorella ha imparato negli anni ad incenerire con lo sguardo, generalmente lo fa un attimo dopo aver puntualizzato che, in fotografia, il grandangolo è esattamente il contrario del teleobiettivo.
Non massacriamo i poveri Addetti, tutti abbiamo cominciato e abbiamo avuto bisogno di tempo per arricchire il nostro bagaglio di conoscenze, professionali ed extra. Torniamo invece agli Esperti, al perchè "la massa" li cerca, li vuole, si affida a loro come a novelli Angeli Custodi versione 2.0.
Ragionando, io mi sono data due possibili spiegazioni. La prima è che, appunto, quando si PARLA, si interagisce con le persone, tendenzialmente si finisce per capire se uno è davvero esperto di quello di cui dice di essere esperto, oppure se è un fanfarone. Posso ben immaginare di non essere l'unica ad avere il dono di sgamarli ad occhio.
Il problema è che, oggigiorno, la percentuale di acquisti non solo di beni ma anche di servizi su Internet sta raggiungendo numeri impressionanti, e acquistare su Internet è sempre un terno al lotto. Con i beni è solo questione di attendere il Corriere con il pacchettino, lo apri e vedi subito se hai beccato la fregatura o se hai fatto un affare. Con i servizi (assicurativi, bancari, ma anche oltre... parliamo di Arte?? Eh??) è in effetti un po' più problematico, e allora ecco il bisogno dell'etichetta. Hai un Esperto, ci mancherebbe, non hai buttato i tuoi soldi nel cesso, dai! E' evidente che se/quando chiamerai (nel nostro caso, ad esempio, non è sempre detto che serva, anzi, in teoria l'ideale sarebbe che non succedesse mai) non avrai modo di vedere se ti stai davvero confrontando con uno che fa quel mestiere da vent'anni e sa di cosa parla, piuttosto che un ragazzino che ha appena finito le Superiori, piuttosto che uno che è il quinto call-center che gira, e su quello di prima vendeva le pentole. L'importante è crederci, o meglio ancora poter dire agli amici (rigorosamente su Facebook o Twitter, MAI di persona mi raccomando) "il mio assistente bancario è un vero Esperto", così l'amico di Facebook manda giù fiele pensando "Ehi che invidia, invece il mio è un completo deficiente". Forse lo scopo è quello: fare invidia. Mostrarsi fighi, perchè si sa scegliere. Il meglio di tutto a pochi soldi, come avviene di norma su Marte, no? Sulla Terra invece come si fa lo sa solo lui, il Furbo.
Io, a naso, direi che considerando gli enormi problemi che attanagliano il mondo del lavoro in Italia, considerando tutto quello che si sente in giro, considerando il fiume n. 1 di ragazzi che si arrangiano a fare qualunque lavoro pur di fare qualcosa (e hanno la mia massima stima e il mio totale rispetto), considerando il fiume n. 2 di ragazzi che non fanno assolutamente niente perchè tanto il-lavoro-non-si-trova e vengono mantenuti da genitori ottusi (una volta a me una mamma ha detto che suo figlio cercava un lavoro "mentre attendeva di sfondare come bassista"!!!), ripeto direi che gli Esperti, quelli veri, devono essere merce rarissima. Di recente, un signore che lavora presso un'Azienda che io assicuro, mi ha chiesto un consiglio assicurativo nonostante, in effetti, lui non sia mio Cliente; però, ha detto, "so che tu sei Superesperta". Meglio dell'omino sotto cellophane, quindi. Ho sorriso, all'idea di questa nuova definizione. Ma del resto, se l'Esperto alla lunga si rivelasse un idiota totale, dovremmo pur catalogare una nuova razza geneticamente modificata per identificare i Veri Esperti che, essendo tali, sappiano.   
La seconda spiegazione invece è meno elucubrata, e, forse, proprio per questo finisce che la azzecco. Ho già parlato di una cosa che ho sentito in un corso di formazione sull'apprendimento, cioè di come tendenzialmente la popolazione venga suddivisa tra i PALOMBARI (quelli che si informano a fondo di ogni argomento, e quindi tendenzialmente conoscono poche cose, visto il tempo che ci vuole appunto per "andare a fondo": poche ma molto bene) e i SURFISTI. Questi ultimi, nei quali sta la quasi totalità degli under 40, sono quelli che passano nei discorsi da un argomento all'altro, nelle ricerche da un Sito all'altro, e così via. Infarinatura generale di un po' di tutto, conoscenza vera di niente di niente. Mi aveva depresso parecchio ascoltare il docente, che avrà avuto più o meno la mia età e che io immaginavo, come me, una sorta di Re dei Palombari, mentre raccontava la sua punta di invidia per la giovane figlia surfista, "una che non perde tempo nella vita". Capirai, poi finisce che si fida dell'Esperto di Banca su Internet che le garantisce la sicurezza del Trading-On-Line (anzi, in quattro lezioni fa diventare direttamente lei la Esperta di Trading!), così mangia fuori al papà invidioso la casa, le mutande e anche lo scafandro per le immersioni. Che tristezza, io no, per carità, mi tengo stretto e con orgoglio il mio gagliardetto da Palombaro. 
Comunque, il punto potrebbe essere che tutti questi surfisti abbiano in realtà un bisogno estremo di qualcosa di certo a cui aggrapparsi. Bisogno di punti di riferimento, bisogno di certezze, magari poche, ma forti, bisogno di qualcuno che SAPPIA. Bisogno di risposte. Bisogno di credere che l'Italia non sarà svenduta a pezzi all'estero, bisogno di sapere che non ci saranno (di qui a breve) decine e decine di Botteghe Artigiane costrette a chiudere perchè nessuno raccoglie il testimone di mestieri antichi, da tramandare con sofferenza, orgoglio e impegno. Un bisogno inconscio, ma insopprimibile, di qualcosa che riempia il vuoto della non-conoscenza. E la pubblicità un po' ci marcia, e glielo soddisfa in modo deviante, e deviato. Serve direttamente l'Esperto su un piatto d'argento: basta crederci. Io voto contro.